Il Parco regionale del Monte Barro, grazie anche a un finanziamento di Fondazione Cariplo, insieme alla Provincia di Lecco e al Comune di Galbiate ha realizzato un progetto pilota di fitodepurazione a servizio del grande compendio dell’Eremo di Monte Barro, di proprietà pubblica.
Si tratta del primo impianto in Provincia di Lecco, realizzato anche a scopo divulgativo e promozionale di queste tecniche sostenibili e vantaggiose per la biodiversità naturale.
La fitodepurazione è una modalità per la depurazione dei reflui che fa esclusivo ricorso a processi naturali: è una tecnologia efficiente, a basso costo di gestione, rispettosa della natura e del paesaggio e particolarmente conveniente nel caso di nuclei lontani dalle aree servite da fognatura.
Rispetto ai metodi di depurazione tradizionale delle acque, la fitodepurazione ha il difetto di richiedere superfici più ampie, ma ha il pregio di avere un minimo fabbisogno energetico e tecnologico. Si deve inoltre considerare che il consumo di territorio dell’impianto di fitodepurazione è in realtà un’occasione di valorizzazione naturalistica.
I sistemi di fitodepurazione sono molteplici e si definiscono anche in funzione della diversa provenienza delle acque da depurare.
Le differenti tecniche sviluppate si basano su un principio di funzionamento comune che sfrutta le proprietà del sistema pianta-suolo, laddove per sistema si intende quell’effetto depurativo che è dato dalle sinergie che si stabiliscono fra le radici e la flora microbiologica (batteri, funghi) presente nel substrato.
Le piante utilizzate nella fitodepurazione sono, per la maggior parte, Elofite, ossia piante semi-acquatiche con radici e gemme perennemente sommerse, ma foglie e fusto aerei. Le piante giocano in realtà un ruolo marginale nei processi depurativi veri e propri.
La loro funzione principale infatti consiste nel fornire un supporto fisico e chimico (in particolare per quanto riguarda l’ossigeno) alla flora microbiologica. La vegetazione provvede pure a dissipare parte dell’acqua verso l’atmosfera, attraverso l’evapotraspirazione, e quindi a ridurre i volumi di effluente. Inoltre le radici agiscono da filtro per le particelle in sospensione.
(function() {
if (document.readyState === 'complete') return;
if (typeof EbuzzingCurrentAsyncId === 'undefined') window.EbuzzingCurrentAsyncId = 0;
else EbuzzingCurrentAsyncId++;
var containerId = 'EbuzzingVideoContainer' + EbuzzingCurrentAsyncId;
document.write('’);
var params = {“size”:4}; eval(‘window.EbuzzingScriptParams_’ + containerId + ‘ = params;’);
var s = document.createElement(‘script’);
s.async = true; s.defer = true;
s.src = ‘//crunch.ebuzzing.com/feed_channel66607.js?target=’ + containerId;
var x = document.getElementsByTagName(‘script’)[0];
x.parentNode.insertBefore(s, x);
})();
// ]]>
Infine le piante possono essere impiegate anche per la rimozione di elementi tossici, come ad esempio vari metalli pesanti (Arsenico, Cromo, Mercurio, Piombo eccetera), e di inquinanti organici (per esempio diossina o composti aromatici). Tali sostanze sono molto stabili e non possono essere distrutte: le piante però le assorbono e le intrappolano nei propri tessuti.
Nella realizzazione dell’impianto pilota assai significativo è stato il valore aggiunto rappresentato dall’apporto del Centro Flora Autoctona (CFA) che il Parco gestisce per conto della Regione Lombardia: è stato infatti il CFA a produrre e a trapiantare nelle vasche dell’impianto il materiale vegetale necessario, raccogliendo nel vicino lago di Annone i semi e i rizomi necessari per la produzione delle piante e contribuendo in questo modo al mantenimento della biodiversità del territorio.
Diversi florovivaisti lombardi sono stati in seguito coinvolti nella produzione di piante adatte alla fitodepurazione, tanto che oggi è possibile l’approvvigionamento con piante provenienti da popolazioni lombarde e certificate dal CFA stesso.
L’articolo è stato scritto da Mauro Villa, esperto in progettazione, pianificazione e gestione naturalistica e attualmente Direttore del Parco Regionale del Monte Barro (LC).