Il Comitato IFI, associazione che riunisce circa il 90% dei produttori nazionali di celle e moduli fotovoltaici, esprime la propria soddisfazione in merito al voto del Consiglio Europeo dello scorso 2 dicembre che approva i dazi definitivi anti dumping e anti sovvenzioni per i moduli fotovoltaici di produzione cinese.
Soddisfazione mitigata tuttavia dal fatto che i dazi previsti non troveranno applicazione per via dell’accordo (undertaking) sul prezzo minimo all’esportazione siglato lo scorso 3 agosto dalla Commissione UE con i produttori cinesi e che avrà durata di due anni.
Il voto del Consiglio Europeo conclude l’investigazione aperta dalla Commissione UE nel settembre 2012, su richiesta dei produttori di celle e moduli europei al fine di provare l’esistenza di reiterate pratiche anti-concorrenziali di dumping e sovvenzioni illegali poste in essere dai produttori e dal Governo cinese.
Una disputa da 21mld/€ (circa 28 mld/$), il valore massimo mai raggiunto nella storia dell’Unione per analoghe controversie anti-concorrenziali. Le conseguenze denunciate dai produttori fotovoltaici europei sono state l’oggettivo crollo della produzione fotovoltaica europea, la chiusura di oltre sessanta industrie e la perdita di decine di migliaia di posti di lavoro.
Per ripercorrere il lungo iter della discussione tra i produttori europei e quelli cinesi elenchiamo di seguito alcune delle fasi salienti relative allo svolgimento dell’investigazione e le numerose anomalie di condotta tenuta dalla Commissione UE, fino a stravolgere l’esito dell’investigazione stessa.
Prima anomalia: le prime evidenze tratte da prove documentali raccolte dalla Commissione circa l’esistenza di pratiche anti-concorrenziali e del grave pregiudizio sofferto dall’industria fotovoltaica europea, portano lo scorso 6 marzo all’emanazione da parte della Commissione Europea del Regolamento Esecutivo, con voto favorevole della maggioranza degli Stati Membri, che dispone la Registrazione delle Importazioni di celle e moduli fotovoltaici di origine cinese, con l’intento di salvaguardare il mercato dell’Unione dal protrarsi di massive importazioni dalla Cina di moduli fotovoltaici a prezzi di dumping e dal rischio di una potenziale elusione dei dazi da parte dei produttori/esportatori cinesi, qualora imposti retroattivamente.
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Il 5 giugno 2013, termine entro il quale si sarebbero dovuti imporre o meno e i dazi provvisori, la Commissione UE emana un Regolamento per l’istituzione dei dazi provvisori, mettendo in evidenza, tuttavia, un atteggiamento opposto rispetto a quello avuto per la Registrazione delle importazioni.
Infatti a distanza di soli tre mesi dall’emanazione del provvedimento di Registrazione delle Importazioni e nonostante il perdurare del grave pregiudizio sofferto dalle imprese manifatturiere europee, la Commissione UE decide di applicare due differenti aliquote, su due diversi archi temporali: una minima dell’11,8% valida fino al 4 agosto successivo e una massima, del 67%, valida dal 4 agosto fino al termine di chiusura formale dell’investigazione (entro il 6 dicembre 2013).
La prima aliquota minima al 11,8% è tale da non incidere minimamente nella riduzione del pregiudizio per l’industria europea del fotovoltaico.
Seconda anomalia: in aggiunta, il 3 agosto 2013, termine a decorrere del quale si sarebbero dovuti applicare i dazi provvisori in percentuale maggiorata (67%), la Commissione dichiara di aver accettato un accordo (undertaking) proposto dai produttori/esportatori cinesi, che costituisce l’alternativa negoziale offerta ai cinesi all’applicazione dei dazi provvisori: in virtù di tale accordo viene fissato un prezzo minimo e un quantitativo massimo per l’esportazione verso la UE.
Terza anomalia: sempre nello stesso mese di agosto, la Commissione UE comunica il proprio intento di non applicare i dazi provvisori anti-sovvenzioni e che tali dazi si sarebbero applicati come definitivi solo al termine del periodo di investigazione, aggiungendosi a quelli anti dumping ( sempre entro il 6 dicembre 2013).
A settembre 2013, la Commissione UE comunica alle parti interessate, l’esito complessivo dell’investigazione condotta.
Le evidenze esposte nel documento conclusivo predisposto dalla Commissione UE sono oggettive e inconfutabili: la somma dei margini di dumping e di sovvenzioni illegittime ricevute dai produttori di moduli cinesi tra il 2011 e il 2012 supera il 100%.
Ciò sta a significare che i prezzi praticati dai produttori/esportatori di celle e moduli fotovoltaici cinesi in Europa tra il 2011 e il 2012 sono stati abbondantemente al di sotto del 50% di quelli praticati dai produttori europei, contravvenendo così alle norme del commercio internazionali in merito all’adozione di pratiche illegali e anticoncorrenziali.
Quarta anomalia: nonostante ciò, la Commissione accetta un ulteriore accordo con i produttori cinesi (quello sui sussidi governativi illegittimi), dove il margine di vantaggio acquisito grazie alle sovvenzioni illegali ricevute dal Governo e dagli istituti di credito governativi cinesi viene ricompreso e non aggiunto a quello di dumping, senza quindi apportare alcuna variazione in termini di incremento sui prezzi minimi fissati all’accordo già sottoscritto in data 3 agosto.
A fronte di quanto sopra, il Comitato IFI, non può che esprimere una posizione di dissenso in merito alle modalità attraverso le quali la Commissione UE abbia gestito con atteggiamento marcatamente politico e non tecnico (come invece richiestole nel proprio ruolo ispettivo), andando a evitare ogni forma di penalizzazione nei confronti dei produttori cinesi e avvallando, invece, un accordo proposto dagli stessi produttori/esportatori cinese che sancisce il loro impegno a rispettare un prezzo minimo all’esportazione verso l’Europa, per di più inferiore di un 6-8% al prezzo medio già praticato dai produttori europei. L’applicazione di tale accordo, non solo non rimuove il grave pregiudizio subito dall’industria fotovoltaica nazionale ed europea, ma non considera neppure il danno subito e non più recuperabile dall’industria stessa, dal suo mancato sviluppo e dal suo tracollo, continuando invece a legittimare la reiterazione di pratiche illegali.
A riprova di quanto sopra, sono di dominio pubblico le dichiarazioni comunicate lo scorso 1 ottobre 2013 dal Governo cinese nelle quali lo stesso si impegna a continuare a profondere aiuti ai produttori di componenti solari attraverso vantaggi fiscali, tra cui la restituzione immediata alle società produttrici della metà dell’IVA (fonte agenzia di stampa statale cinese Xinhua).
Dichiara Alessandro Cremonesi, presidente IFI “Avevamo iniziato ad avere sentore di un cambiamento di atteggiamento da parte della Commissione UE quando, a seguito della visita in Germania del Primo ministro Cinese Li Keqiang alla fine dello scorso mese di maggio: egli chiese e ottenne garanzie dalla Cancelliera tedesca, Angela Merkel, affinché si adoperasse per giungere a una conclusione negoziale della disputa sul dumping dei moduli cinesi, evitando l’applicazione dei dazi compensativi. Tutto questo quando già oltre 60 fabbriche europee e italiane di celle e moduli erano state dichiarate fallite o in stato di insolvenza proprio a fronte del comportamento illegittimo e anti-concorrenziale posto in essere dagli stessi cinesi.
Da quel momento e nei giorni immediatamente successivi, la Commissione UE si trova a emanare il Regolamento di istituzione dei dazi provvisori decidendo in modo del tutto arbitrario ed eccezionale di imporre due aliquote differenziate e a seguire, spinge gli Stati Membri ad accettare l’accordo con le industrie cinesi, fissando un prezzo minimo all’esportazione, ancora una volta inferiore rispetto ai prezzi minimi di sopravvivenza industriale che i produttori europei sono costretti a praticare”.
Visti gli esiti finali, ratificati lo scorso 2 dicembre dal voto del Consiglio UE non ci sono margini di dubbio sulla volontà politica perseguita dall’Unione Europea nel concludere questa disputa: mettere da parte ogni evidenza che ponesse in luce il comportamento illegittimo e predatorio da parte dei produttori di moduli fotovoltaici cinesi e scegliere la via negoziale, iniqua si, ma tale da scongiurare le ritorsioni economiche già annunciate dalla Cina verso altri settori economici. Una scelta che mette in luce tutta la debolezza politica dell’Europa di fronte allo strapotere economico cinese, consegnandogli altresì una patente di legittimità per invadere illegalmente il proprio spazio economico, commerciale e manifatturiero. Finita sì una battaglia… ma non la guerra”.