Home News Importazioni agroalimentari: bene togliere segreto sul cibo importato

Importazioni agroalimentari: bene togliere segreto sul cibo importato

importazioni agroalimentari

importazioni agroalimentariMentre aumentano le importazioni agroalimentari del 20 percento crescono, anzi esplodono di conseguenza le frodi alimentari che segnano un incremento del 248 percento dal 2007 a oggi. Per questo, per la Coldiretti Lombardia è positivo che si voglia togliere il segreto sul cibo importato dall’estero.

Inoltre per Ettore Prandini, Presidente della Coldiretti Lombardia, che plaude alla decisione del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, i dati sulle importazioni agroalimentari sono stati sempre riservati e non si capisce perché. Non si tratta di segreti militari: sapere chi sono gli importatori e che alimenti importano rappresenta solo un vantaggio per i consumatori e per la democrazia.

Si tratta infatti di una scelta di verità rispetto alle manovre di alcune industrie che prendono fuori dal nostro Paese latte, carne, prosciutti, miele, olio, formaggi, salsa di pomodoro e tutto quello che trovano e poi li rivendono come se fossero prodotti italiani grazie a confezioni o nomi che richiamano il Belpaese o mischiando tutto con materie prime italiane, in un gioco delle tre carte che danneggia consumatori e agricoltori.

Intanto le importazioni agroalimentari in Italia hanno raggiunto la cifra record di 40 miliardi di euro nel 2013 con un aumento del 20 percento dall’inizio della crisi nel 2007 a oggi, mentre nello stesso periodo sono più che triplicate in Italia le frodi a tavola con un incremento record del 248 percento del valore di cibi e bevande sequestrati, grazie all’attività dei NAS, perché adulterate, contraffate o falsificate.

Senza dimenticare che l’82 percento degli allarmi alimentari che si sono verificati in Italia e registrati dall’autorità di controllo europea sono stati provocati da prodotti a basso costo provenienti dall’estero.

“Le concorrenza sleale di prodotti non identificati ma spacciati come italiani” spiega Prandini “ha avuto un impatto negativo sul sistema produttivo lombardo e nazionale: in Italia, per esempio, sono spariti oltre 600 mila suini, la metà dei quali allevati in Lombardia dove sono state colpite in particolare le province di Brescia, Cremona, Mantova, Bergamo, Milano e Lodi”.

Le forniture dall’estero arrivano da Germania, Olanda, Francia, Spagna e Danimarca. Dall’inizio della crisi il settore ha perso 8mila posti di lavoro. La situazione è negativa anche se si considera il latte: a causa delle importazioni dall’estero e della crisi dei prezzi, nei dieci anni che vanno dal 2003 al 2013, spiega un’analisi di Coldiretti Lombardia, il numero delle stalle lombarde è diminuito di oltre il 30 percento, passando da 8.761 a 6.042, se poi si considerano solo quelle che consegnano a industrie e caseifici e si escludono quelle che trasformano in proprio o fanno vendita diretta, si scende sotto la soglia di 5mila allevamenti.

In media in Lombardia, dove si produce il 40% di tutto il latte italiano, sono sparite oltre 270 realtà all’anno. Nel 2013 in Italia sono stati consumati 2,05 milioni di tonnellate di latte a lunga conservazione ma di questi solo mezzo milione è di provenienza italiana mentre il resto è stato semplicemente confezionato in Italia o e arrivato già confezionato, con un impatto negativo sul lavoro e sull’economia del paese.

Ma a essere importati sono anche semilavorati come le cagliate, polvere di latte, caseine e caseinati che vengono utilizzati per produrre all’insaputa del consumatore formaggi di fatto senza latte. Il falso Made in Italy colpisce anche i formaggi più tipici con la crescita delle importazioni di similgrana dall’estero (Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Estonia, Lettonia) per un quantitativo stimato in 83 milioni di chili che fanno concorrenza sleale a Grana Padano e Parmigiano Reggiano o Trentingrana ottenuti nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione e sicurezza alimentare.

L’Italia è anche il più grande importatore mondiale di olio di oliva nonostante una produzione nazionale di alta qualità che raggiunge quota 480mila tonnellate, secondo la Coldiretti. Le importazioni di olio dell’Italia superano la produzione nazionale e sono rappresentate per il 30 percento da prodotti ottenuti da procedimenti di estrazione non naturali (olio di sansa, olio lampante e olio raffinato) destinati alla lavorazione industriale in Italia.

In pratica la qualità del nostro olio viene contaminata dalle importazioni e in media la metà dell’olio di oliva consumato in Italia proviene da olive straniere, ma l’etichetta di provenienza che per questo prodotto è obbligatoria risulta di fatto non leggibile perché scritta in caratteri minuscoli posizionati nel retro della bottiglia mentre si fa largo uso di immagini e nomi che richiamano all’italianità.

Condividi: