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GreenItaly 2015: la green economy in Italia è realtà

pubblicato il: - ultima modifica: 7 Agosto 2020
green italy 2015

green italy 2015La green economy in Italia è ormai un’occasione colta, più che un dover essere. Lo dicono i numeri.

Quelli di GreenItaly 2015, il sesto rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere, promosso in collaborazione con il Conai, che misura e pesa la forza della green economy nazionale, secondo cui un’impresa su quattro dall’inizio della crisi ha scommesso su innovazione, ricerca, design, qualità e bellezza, sulla green economy.

Sono infatti 372.000 le aziende italiane (ossia il 24,5% del totale) dell’industria e dei servizi che dal 2008 hanno investito, o lo faranno quest’anno, in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2.

L’orientamento green si conferma un fattore strategico per il made in Italy: alla nostra green economy si devono 102,497 miliardi di valore aggiunto, pari al 10,3% dell’economia nazionale, e 2milioni 942mila green jobs, ossia occupati che applicano competenze verdi.

Una cifra che corrisponde al 13,2% dell’occupazione complessiva nazionale ed è destinata a salire ancora entro dicembre. Dalla green Italy infatti arriveranno quest’anno 294.200 assunzioni legate a competenze green: ben il 59% della domanda di lavoro.

Presentato a Roma, GreenItaly 2015 ci dice che la green economy è un paradigma produttivo sempre più forte e diffuso nel Paese. In termini di imprese, che in numero crescente fanno scelte green. Solo quest’anno, incoraggiate dai primi segnali della ripresa, 120mila imprese hanno investito green, o intendono farlo entro dicembre, il 36% in più rispetto al 2014. E in termini di risultati, nei bilanci, nell’occupazione e nelle performance ambientali del Paese, che rendono l’Italia, nonostante i tanti problemi aperti, il leader europeo in alcuni campi dello sviluppo sostenibile.

GreenItaly 2015 – L’Italia verso la COP 21 di Parigi di Fondazione Symbola

Uno spread verde che indica la direzione da seguire, un dato importante in vista dell’importante vertice Onu sul clima che a dicembre riunirà il mondo a Parigi spiega il presidente di Fondazione Symbola Ermete Realacci: “La vocazione italiana alla qualità si esprime in una tensione al futuro che ha avuto proprio nella green economy uno strumento formidabile per migliorare i processi produttivi, realizzare prodotti migliori, più belli, apprezzati e responsabili. Puntando sul green non solo il made in Italy ha coniugato qualità, tradizioni, innovazione e competitività, ma ha aperto la via dell’economia circolare. Un nuovo modello di sviluppo che somiglia molto a quell’economia a misura d’uomo, che rifiuta lo scarto, attenta alla custodia della casa comune di cui parla Papa Francesco. Un’economia in cui un’Italia che fa l’Italia è già in campo, che è strategica anche per il Pianeta e può rappresentare il nostro contributo alla Cop21 di Parigi”.

“L’evoluzione ecosostenibile di una buona parte del nostro sistema produttivo è stata funzionale alla crescita della qualità delle nostre produzioni e della loro capacità competitiva” evidenzia il presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello “È importante fare emergere con queste analisi l’Italia dell’innovazione che scommette sul futuro. Continuare a far crescere questo volto verde della nostra economia vuol dire anche adoperarsi per creare un contesto più innovativo e competitivo. Le Camere di commercio sono già coinvolte su questo fronte e intendono moltiplicare il proprio impegno. Nella convinzione che, oggi, la scelta della sostenibilità non sia rinviabile”.

Nel nostro Paese, come ci dicono i numeri di Symbola e Unioncamere, la green economy ha contribuito e sta contribuendo in modo determinante a rilanciare la competitività del made in Italy. Per questo, nonostante le difficoltà, dall’inizio della crisi più di un’azienda su quattro ha scommesso sul green. Una propensione che abbraccia tutti i settori della nostra economia, da quelli più tradizionali a quelli high tech, dall’agroalimentare all’edilizia, dalla manifattura alla chimica, dall’energia ai rifiuti, e che sale al 32% nel manifatturiero. Una scelta che paga.

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