Economia, benessere e sostenibilità possono andare a braccetto e, nell’Italia della crisi economica, diventare modello per altre iniziative.
Giovani, migranti, donne, innovatori: dieci storie di successo di impresa del Bel Paese, dieci esempi di economia civile in cui sostenibilità economica, ambientale e sociale coesistono generando reddito e valore.
Se ne parlerà venerdì 30 settembre, alle 17, a Fa’ la cosa giusta! Umbria, fiera del consumo consapevole e degli stili di vita sostenibili. Nell’appuntamento del 30 settembre, promosso da Arpa Umbria, Legambiente onlus e Novamont, parteciperanno Enrico Fontana, responsabile Economia civile Legambiente onlus; Filippo Salone, coordinatore nazionale Prioritalia; Emanuele Isonio, della rivista Valori; Walter Ganapini, direttore generale Arpa Umbria e Piero Magri, Terre di Mezzo – ideatori di Fa’ la cosa giusta!
Le ricette contro la crisi economica
Nell’incontro saranno analizzati e presentati anche i casi di aziende di CIA Umbria e delle imprese bioresistenti e di CNA Umbria con il suo Rinascimento artigiano. Piccole imprese artigiane capaci di creare prodotti innovativi e di qualità. Al centro dell’analisi ci saranno esempi di piccole e grandi imprese, che verranno raccontate e analizzate con il contributo dei fondatori.
Tra le grandi realtà c’è il caso di Cesare Pozzo, società di mutuo soccorso, dove i 163.000 soci si danno aiuto reciproco per affrontare le spese sanitarie e socio-assistenziali, evitando soluzioni individualistiche e ottenendo vantaggi in termini di costi.
O come il caso di Novamont che ha sviluppato un modello di successo internazionale di integrazione tra chimica, ambiente e agricoltura, promuovendo la transizione da un’economia di prodotto a un’economia di sistema puntando sulla valorizzazione dei territori e su prodotti capaci di ridisegnare interi settori applicativi, riducendo i costi delle esternalità sull’ambiente e sulla società.
Tra le storie più piccole c’è quella di Suleman Diara (e della sua Barikamà) che ha iniziato il suo viaggio in un villaggio nel Mali, poi l’Algeria, la Libia e il Mediterraneo. Ha attraversato lo sfruttamento nelle campagne italiane, il razzismo, la lotta per un permesso di soggiorno. Ed è arrivato a fondare a Roma una cooperativa che produce yogurt biologico e dà lavoro a sei dipendenti. I prodotti vengono consegnati in bicicletta e i barattoli di vetro sono riutilizzati per ridurre l’impatto ambientale.
O Manukafashion, nel settore del tessile, con base a Roma. Nata nel 2011 come progetto di moda in Malawi, si basa sulla creazione di prodotti tessili per la casa e accessori per la persona realizzati a mano. Realizza le collezioni promuovendo la formazione e il lavoro di sarti migranti che vivono in Italia, e di sarti africani. Promotrici di una rete in continua espansione, Manukafashion è in contatto con produttori di stoffe basati prevalentemente in Africa Occidentale e in Uganda, dove è attiva una collaborazione con una cooperativa che produce tessuti tye-die. La realizzazione di questi tessuti è affidata a donne disabili o affette da HIV-AIDS, dando loro la possibilità di acquisire le giuste competenze per divenire economicamente indipendenti.
O il caso della cooperativa agricola umbra La Semente, che si occupa di assistenza terapeutica, con un modello di imprenditoria sociale innovativo di welfare comunitario dove diversità significa ricchezza.
Ancora, Microntel, azienda perugina che si occupa di soluzioni elettroniche e tecnologie informatiche. Una storia locale di successo che resiste molto bene alla crisi economica investendo in ricerca e sviluppo.
Tra i casi ci saranno anche quello di Tamat Ong, che sta promuovendo un progetto europeo di start-up sociale sull’economia civile e di Yabasta e del suo progetto mensa con la testa che propone un’alternativa possibile al servizio di somministrazione pasti che pone al centro la qualità dei prodotti, la partecipazione delle famiglie e l’inclusione sociale.