Poliedrica la professione di chi fa il Csr manager, green jobs per eccellenza.
La prima caratteristica di un ipotetico identikit è che deve essere paladino assoluto dei parametri basic della sostenibilità – ho visto manager passare in azienda a tirare su cartaccia per poi riporla nel contenitore giusto.
Ma poi tutto ciò lo deve pesantemente superare perché è richiesta creatività spinta – solo le nuove idee ti differenziano dalle aziende concorrenti, sempre che anche queste abbiano in casa un Csr manager.
Aggiungiamo che non può che essere duttile e flessibile con forti capacità di sintesi – se non metti tutto nero su bianco a che serve? Lo dice anche Filippo Bocchi, Csr manager del Gruppo Hera che sottolinea l’importanza di lavorare su misurazione/reporting.
Quindi, non può mancare di saper parlare a tutti: dall’alto al basso. E anche saper coinvolgere le comunità e aiutarle nel migliorare il loro stesso lavoro e l’impatto ambientale. Lo suggerisce Andrea Valcalda, Csr manager di Enel che di tribù e villaggi ne ha visti tanto proprio per conto della Utility per cui lavora.
“Deve anche essere un gran sociologo” suggerisce Loris Pedon che nell’omonima azienda è si il proprietario ma si occupa anche di Csr.
I manager fin qui citati, Green Planner li ha incontrati ieri in occasione della presentazione dello studio Seize the change condotto dall’ente di certificazione Dnv Gl e da Ey (per chi fosse poco avvezzo si tratta della nuova denominazione di Ernst&Young), con il supporto di Gfk Eurisko.
Un anno e passa di lavoro per confermare che le aziende che investono negli stili sostenibili hanno migliori ritorni senza per questo mettere in discussione che la priorità di un’azienda sia garantire la redditività.
La maggior parte delle aziende che ha intrapreso iniziative dedicate ne ha, infatti, tratto beneficio: in termini di compliance normativa (30%), ma anche di valorizzazione della reputazione di marca e di miglioramento delle relazioni con i clienti (entrambi veri per 1 impresa su 5). Ciò che è certo è che i benefici superano di gran lunga i costi per il 40%.
E tutto questo per lo più è in mano al Csr manager o facente funzione. Magari non deve essere del tutto un puro ambientalista. Per cui può evitare di vestirsi da fricchettone (ieri in sala, nella sede di Ey in via Meravigli a Milano, tutti giacca e cravatta e tacchi per le signore), ma dovesse essere ligio con i dettami dovrebbe stare attento a dove e come acquista anche il proprio abbigliamento immagine.
Per non parlare di come si muove: treno ovviamente. Ma c’è chi potrebbe rispondere: non sono mica il mobility manager. Già: dove sta il mobility manager? Accanto al Csr? Quasi mai! Troppi costi per un’azienda.
Già, ma quanto costa la Csr? Per fortuna l’indagine che stiamo trattando mostra che il 45% delle aziende italiane e globali ha in programma di investire di più nell’integrazione della sostenibilità nei prossimi tre anni.
Il consiglio è che: “In futuro si dovrà estendere tale sensibilità alle diverse aree di opportunità” afferma Riccardo Giovannini, del team sustainability di Ey “A tal fine è indispensabile mostrare alle aziende quale sarà la futura evoluzione dell’agenda globale e locale sui temi legati alla sostenibilità, evidenziando le potenziali connessioni con l’attività core dell’azienda”.
Insomma, una cosa è certa nel nostro identikit, il manager che in azienda copre funzione di Csr deve per forza stare al passo con i tempi. Ed è qui che arriviamo al tema caldo: ormai la corporate social responsability è 4.0. Lo sarà anche il Csr manager?
Ce lo auguriamo per rispondere positivamente al dubbio che ha avanzato proprio ieri Luciano Pirovano, che fa questo lavoro in Bolton Alimentari (brand Riomare): “quale sarà il futuro del Csr manager?”.
Magari la soluzione sta nello stile adottato dalla Mapei. Come racconta infatti Adriana Spazzoli, recentemente nominata anche presidente di Sodalitas, ma da sempre parte della famiglia che guida una delle aziende di chimica italiana più famosa al mondo anche per via del Vinavil: “Noi, non abbiamo un responsabile di Csr ma tutti la condividono”.
L’importante è che ci sia coerenza: altrimenti il cliente finale fiuta il faceto e te la fa pagare. Rivolgendosi altrove. Il pallino, in fondo è sempre in mano a lui.