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City Service Hub: nelle nostre città arriva l’era della service economy

pubblicato il: - ultima modifica: 31 Agosto 2020
city service hub

Li chiamano City Service Hub e sono la declinazione della service economy su strada. In poche parole sono tutti quei nuovi punti in città che svolgono funzione di servizi, di condivisione e anche di aggregazione.

Bar che fanno da portineria. Punti vendita di elettronica che spediscono anche pacchi, declinati in mille forme – chioschi, negozi, ma anche su automezzi trasferibili – se ci si guarda bene in giro se ne trovano già. Nelle grandi città, ma anche come evoluzioni di comunità. Magari anche agricole. Di sicuro a forte impatto sociale.

Esempi di sharing economy, come le edicole milanesi. Il progetto Ambrogio Basta Chiedere! – lanciato dal Comune della metropoli lombarda – prevede infatti che diventino uno snodo di informazioni e servizi. Insomma, non venderanno più solo giornali, ma daranno informazioni pratiche anche legate ai servizi del Comune tanto che si parla già di poter rilasciare documenti propri della Pubblica amministrazione.

Insomma i City Service Hub stanno diventando così importanti che sono materia di studi della classe internazionale di studenti di Design dei Servizi del corso di laurea magistrale in Product Service System Design della Scuola di Design del Politecnico di Milano.

A raccontarci l’essenza, la replicabilità e le opportunità anche di lavoro dei City Service Hub è Daniela Selloni, PhD, service designer & researcher del Polimi Desis Lab che abbiamo incontrato alla recente manifestazione Sharitaly organizzata a Milano da Collaboriamo.

Nelle città contemporanee sono sempre più numerosi i servizi di natura pubblica e privata offerti a cittadini e imprese per rispondere ai più svariati bisogni legati alla vita quotidiana e alle attività produttive” racconta la SelloniContestualmente si può rilevare il carattere sempre più aperto e collaborativo dei servizi medesimi, ovvero legato a una partecipazione dell’utente non solo necessaria ma anche auspicata, sia nelle fasi di progettazione che di erogazione, ovvero di co-design e co-produzione degli stessi“.

Dai Living Lab ai Community Hub, dai Neighbourhood Centre agli One Stop Shop i nomi creativi dimostrano che alla base ci sia una forte sperimentazione di stili, servizi, e metodologie tutte però legate alla “progettazione partecipata” sottolinea l’esperta “in un’ottica di rigenerazione urbana e divulgazione di pratiche“.

Insomma, i City Service Hub sono luoghi che nascono per iniziativa ibrida pubblico/privata e che intendono produrre valore pubblico (quindi per tutta la collettività) e favorire la conoscenza e l’adozione di pratiche sostenibili e di interesse condiviso. Devono ovviamente essere facilitatori della vita moderna e rispettare buone regole di accoglienza e condivisione.

Luoghi che ovviamente non sono solo fisici ma anche virtuali, con tanto di canali social curati nel dettaglio. Così come tutto quanto ha a che fare con la comunicazione della condivisione.

Sul canale Youtube del Polimi Desis Lab una bella rassegna di idee sviluppate dagli studenti che si sono cimentati nella progettazione di City Service Hub in diversi ambiti di attività, quali alimentazione, salute, famiglia, sport, housing, energia, ambiente, lavoro, produzione, turismo, cultura e formazione. In tutto 12 aree tematiche a forte impatto sociale.

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