Chissà cosa penserebbe oggi Nicholas Georgescu-Roegen, che per primo, negli anni Sessanta, teorizzò il concetto di bioeconomia.
Nel 1989, al termine della sua carriera, l’economista sostenne di non aver avuto “alcuna influenza sostanziale sul chiassoso dibattito attorno al problema delle risorse naturali“.
Eppure, molto si è mosso e nel mondo odierno, grazie alla sinergia tra ricerca e impresa, il tema è diventato rilevante e ricco di sorprese.
Definita come l’economia basata sull’utilizzo sostenibile nei processi produttivi delle risorse biologiche rinnovabili, includendo anche scarti e rifiuti, la bioeconomia, da Roegen a oggi, ha potuto estendersi e diventare fonte di valore, in termini sia di competitività sia di sostenibilità.
Nel 2013, il fatturato in Italia legato a questo settore è stato di 250 miliardi di euro (1,5 milioni di addetti), soprattutto nell’agroalimentare, ma con molta diversificazione – comparto tessile, farmaceutico, dei biocarburanti e della bioenergia (fonte dati: Intesa San Paolo).
La bioeconomia e le sue applicazione nel mondo industriale
Tutto ciò è avvenuto grazie all’innovazione applicata a livello industriale: la bioeconomia è un forte motore di cooperazione tra il mondo della ricerca e dell’Università e quello delle imprese.
Infatti, di modelli innovativi di bioeconomia in Italia se ne trovano tanti, già usciti dai laboratori e arrivati sul mercato attraverso le aziende, lungo tutta la catena del valore.
Per esempio, c’è il concime fertilizzante, definito tecnicamente digestato, ottenuto attraverso l’azione (digestione) da parte dei microorganismi su rifiuti umidi, fanghi di depurazione e scarti della produzione del riso, per restituire sostanza organica ai campi coltivati. Il progetto della lombarda Neorurale dimostra come scarti e rifiuti dei campi danno nuova vita al suolo e diventano tasselli fondamentali per un’agricoltura circolare.
La bioeconomia fa bene anche al mondo della cosmetica e della nutraceutica. È un esempio quello del progetto della Roelmi Hpc. Così si parte dalle frazioni non edibili degli alimenti vegetali, azione fondamentale per evitare la competizione con il food, e dal cardo coltivato in Sardegna in terre marginali si estraggono le sostanze per la sintesi di emollienti cosmetici; dall’olio si ricavano invece numerosi prodotti per la cura della pelle e del corpo; dalle mele arrivano i polifenoli utilizzati poi per la salute cardiovascolare. Tutto ciò che prima sarebbe stato solo un peso da smaltire ora diventa risorsa.
Esempi di bioeconomia in Italia
Anche in Italia insomma la bioeconomia è in forte crescita ed evoluzione, in particolare per quanto riguarda il settore chimico. In quest’ottica, nel 2012 in Lombardia è nato il Cluster Lombardo della Green Chemistry (uno dei sette cluster tecnologici lombardi), con l’obiettivo di essere un luogo di incontro tra imprese, Università e stakeholder, proprio per assecondare il carattere multi-componenziale della bioeconomia, che si fonda sulla ricerca e sulla sua applicazione a livello industriale, come rappresentato dagli esempi riportati.
Il Cluster serve anche a informare le aziende riguardo i temi di sviluppo su cui la Regione sta investendo e avere riscontri dalle imprese circa le loro esigenze, attraverso un continuo “dialogo nei programmi di lavoro”, come ha sottolineato Alessandro Chiesa, project manager di Finlombarda, ai Bioeconomy Dialogues, tenutisi ai primi di febbraio all’Università Statale di Milano.
Allo stesso evento, Diego Bosco, presidente della Lombardy Green Chemistry Association, ribadendo il ruolo del Cluster, ha evidenziato l’importanza di “mettere insieme le imprese per ottenere una sintesi costruttiva” e di creare un “circolo virtuoso per superare gli ostacoli dati dai diversi livelli“, considerata la forte componente di Pmi e la trasversalità del settore.
In tal senso, tra i progetti al 2020 a cui partecipa il Cluster, è presente la mappatura delle eccellenze di green chemistry e bioeconomia sia in ambito universitario sia in ambito aziendale.
La bioeconomia diventa, quindi, un’opportunità di espressione congiunta di ricerca e industria, stimolata dalla Regione e dai Cluster, ma anche attraverso fondazioni come Fondazione Cariplo, che nel 2017 insieme a Innovhub – azienda speciale della Camera di Commercio di Milano – ha finanziato diversi progetti frutto di collaborazioni tra Università e imprese proprio in questo settore.
Ora non resta che attendere di scoprire quali saranno le idee innovative pronte per essere applicate nei prossimi anni. Insieme ai finanziamenti per renderle attive: su questa direttiva a breve Fondazione Cariplo dovrebbe rilasciare un nuovo bando.