Le aziende sono sempre più esposte a nuovi rischi derivanti dall’esaurimento del capitale naturale: costi più elevati dovuti alla scarsità delle risorse, all’azione normativa e alla pressione esercitata dalle comunità e dalla società in generale.
Ma cosa si intende per capitale naturale? Ce lo dice la norma che lo ha definito emanando disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e contenere l’uso eccessivo delle risorse ambientali.
Il capitale naturale, quindi, include i beni naturali come aria, acqua, suolo, necessari per l’esistenza stessa delle attività produttive, considerate indissolubili dall’ambiente stesso da cui sono generati.
Le risorse naturali sono vitali per le imprese e sono a rischio in molti settori industriali. La mancata gestione del capitale naturale da parte delle aziende ha conseguenze che vanno al di là degli effetti diretti sull’ambiente.
Infatti, l’insufficienza può anche portare a nuovi scenari di interruzione e responsabilità che possono cancellare i profitti e avere un impatto sui modelli di business, man mano che aumentano fattori come la scarsità delle risorse, l’azione normativa e la pressione delle comunità e della società.
Un’analisi di Allianz sulla gestione del rischio del capitale naturale
Il rapporto Measuring And Managing Environmental Exposure: A Business Sector Analysis of Natural Capital Risk (Misurare e gestire l’esposizione ambientale: analisi del rischio del capitale naturale per settore di attività) – realizzato da Allianz Global Corporate & Specialty (AGCS), compagnia del Gruppo Allianz specializzata nei grandi rischi – analizza i dati della società di ricerca MSCI ESG Research, che copre più di 2.500 aziende, per valutare l’esposizione al rischio del capitale naturale in 12 settori.
Il petrolifero e del gas, minerario, food & beverage e dei trasporti sono i settori più esposti, in base a cinque fattori: biodiversità, emissioni di gas a effetto serra (GHG), di altri gas, acqua e rifiuti. Tutti rientrano nella zona di pericolo, il che significa che la gestione del capitale naturale che le imprese devono affrontare è, in media, superiore alle opzioni di mitigazione attualmente utilizzate.
Le aziende del settore petrolifero, del gas e minerario sono esposte a un elevato livello di rischio legato al capitale naturale a causa della natura delle loro attività. Per esempio, nel settore minerario oltre il 90% della produzione mondiale di ferro proviene da aree ad alto rischio di stress idrico e di impatto sulla biodiversità.
Anche il settore dei trasporti rientra nella zona di pericolo per il suo impatto sulla biodiversità e per le emissioni di gas serra e non. Le emissioni di carbonio legate ai trasporti sono, infatti, aumentate dal 1970 del 250%, rappresentando attualmente il 23% di tutte le emissioni globali.
Secondo il rapporto, c’è quindi spazio per il settore di adottare soluzioni per limitare il rischio, come il controllo delle emissioni o l’applicazione di misure di mitigazione per ridurre l’impatto sulla flora e sulla fauna.
Anche il settore food & beverage si colloca nella zona di pericolo per la sua elevata dipendenza dal capitale naturale nelle sue catene di approvvigionamento. Nonostante il rischio significativo di interruzione dell’approvvigionamento a causa dello stress idrico, solo il 20% delle aziende alimentari dell’MSCI All Country World Index ha iniziato ad affrontare questo problema nelle proprie catene di approvvigionamento agricolo.
Inoltre, flora e fauna sono spesso danneggiate dall’uso eccessivo di pesticidi, che riduce la fertilità e aumenta la vulnerabilità agli eventi atmosferici, causando il danneggiamento delle colture per i fornitori delle aziende alimentari.
Sette settori industriali – edilizia, utility, abbigliamento, chimica, industria manifatturiera, farmaceutica e automotive – si collocano nella zona intermedia, il che significa che i livelli di rischio e di mitigazione sono approssimativamente in equilibrio.
Il settore delle telecomunicazioni, invece, è l’unico a essere classificato nella zona sicura, non presentando un elevato livello di esposizione al rischio. Inoltre, le società di telecomunicazioni hanno enormi opportunità di coprire il rischio del capitale naturale in altri settori. Soluzioni di comunicazione e gestione digitali possono consentire un uso più efficiente delle risorse.
L’obiettivo dell’analisi contenuta nel rapporto è quello di fornire una chiara indicazione dell’esposizione complessiva di ciascun settore al rischio di esaurimento di capitale naturale, piuttosto che delle singole imprese. Questo perché ci sono differenze significative nel modo in cui le aziende di ogni settore affrontano e mitigano il rischio di capitale naturale.
Per esempio, nel settore delle utility i livelli di esposizione al rischio e di gestione delle emissioni di gas serra e di altri gas possono variare da imprese a basse emissioni che gestiscono bene l’impatto a imprese che producono emissioni pesanti con una gestione delle emissioni ridotta. È importante sapere che esistono imprese consapevoli del rischio del capitale naturale che operano in settori classificati nella zona di pericolo.
Le tre fasi del rischio del capitale naturale
I rischi legati al capitale naturale si manifestano raramente senza preavviso. Il rapporto rivela che si evolvono in tre fasi prima di influenzare il risultato economico di un’azienda.
Nella prima fase, cresce la consapevolezza del rischio. Nella seconda fase, il rischio del capitale naturale potrà potenzialmente iniziare a colpire singole imprese nelle loro catene di approvvigionamento o nelle loro operazioni attraverso cambiamenti normativi o pressioni sociali.
Nell’ultima fase, quando il rischio non può essere mitigato, si concretizza, causando danni come costi di responsabilità civile, maggiori spese di produzione o interruzione dell’attività, che in ultima analisi incidono sulle performance finanziarie dell’azienda.
Gestire il rischio del capitale naturale
Un numero significativo di aziende ha iniziato ad affrontare il rischio del capitale naturale nel loro ERM. Integrare i costi del capitale naturale nel processo decisionale delle imprese può anche aiutarle a prevedere le minacce potenziali. Per esempio, quando si apre un nuovo stabilimento, si dovrebbero prendere in considerazione fattori quali la futura disponibilità di acqua e il regime di emissioni.
Tuttavia, bilanciare la gestione dei rischi su cui ci si è concentrati oggi con quelli emergenti è difficile. I rischi futuri e non finanziari possono essere facilmente trascurati in quanto le imprese si concentrano su obiettivi a breve termine e può essere difficile misurarli, quantificarli e monetizzarli.
In futuro si prevede che le imprese dovranno rivelare attivamente alle agenzie governative e agli investitori la loro esposizione al rischio del capitale naturale, man mano che le norme si evolveranno.