Ogni Nazione ha la sua maledetta città inquinata. Quelle sorte sull’onda di un’acciaieria hanno primati ineguagliabili. Port Talbot, in Gran Bretagna, come Taranto in Italia.
Una mostra fotografica in scena allo spazioRAW di Milano (dal 21 marzo al 4 aprile), mette in luce gli scatti fotografici di Alecio Ferrari che a Port Talbot ha dedicato, assieme al collega inglese Alex Fleming un vero e proprio studio antropologico ambientale.
Non sono i primi a denunciare lo stato di degrado ambientale di questa città, Banksy prima di loro, ma di fatto, la mostra ha il merito di tentare anche un riscatto. Soprattutto per la popolazione. Sono proprio i cittadini i soggetti prediletti dagli scatti fotografici del giovane fotografo.
Port Talbot, una mostra fotografica a Milano
Il perché è nato questo progetto ce lo racconta Alecio Ferrari stesso.
“Durante gli studi di Graphic Design trascorsi in Inghilterra” spiega “mi sono avvicinato alla storia e contestualizzazione delle ex città industriali che hanno subito una rinascita. Port Talbot però, questa rinascita non l’ha mai vissuta, anzi, il suo è un percorso in declino.
Una grande acciaieria limitrofa al centro cittadino, le ha fatto guadagnare questo primato, rendendolo un luogo malsano sia per l’ambiente quanto per i cittadini che vivono nelle zone vicine. Costanti piogge di cenere e un mare non balneabile, sono soltanto alcuni degli effetti di un’industrializzazione massiccia legata a dei metodi di lavorazione dell’acciaio oramai obsoleti e per questo pericolosi per l’ambiente.
Oltre a realizzare un ritratto di questo luogo e delle persone che lo vivono, il progetto vuole lanciare una sfida e aprire dei dibattiti: è possibile alimentare queste grandi fabbriche attraverso l’uso di energie rinnovabili? È possibile ridurre l’impatto ambientale e sociale che ne consegue?”
Che tipo di tecnica hai usato a Port Talbot?
Il progetto è stato realizzato in pellicola medio formato 6×6, quindi quadrato.
Port Talbot si porta dietro un’approfondita ricerca, tanto socio-economica quanto stilistica. Lavoro a stampo metodico nella fase iniziale di ricerca, realizzato in collaborazione con un amico fotografo inglese, Alex Fleming.
Ci sono voluti mesi di preparazione per andare a sviscerare e comprendere le dinamiche che legano questa cittadina all’acciaieria da cui dipende. Questo legame inscindibile tra città e industria ha caratterizzato la rete sociale e quindi i cittadini che la popolano.
Il progetto si è evoluto in due fasi: in una prima parte di ricerca ci siamo appoggiati a saggi economici prodotti da professori dell’Università di Cardiff e a report pubblici che riportavano dati sulle condizioni ambientali della città di Port Talbot. Abbiamo mappato il suolo della città, capendone i legami di infrastrutture, i punti di raccolta e il suo sviluppo sul territorio.
Dopo circa 4 mesi di analisi teorica ci siamo catapultati nella cittadina e abbiamo capito che quello che volevamo raccontare erano i suoi abitanti, i lavoratori, la gente comune e come una delle realtà più inquinata di tutto il Regno Unito riesce a convivere con gravi problematiche ambientali. La realtà vive bloccata dentro sé stessa: continue piogge di cenere, un mare non balneabile rendono il luogo critico per la salute ma economicamente dipendente dalla grande acciaieria.
Quali sono le tue attenzioni nei confronti dell’ambiente?
Gli accorgimenti che prendo nel quotidiano sono semplici gesti che oltre a ridurre il mio personale impatto ambientale, rendono la vita più efficiente. Alcuni di questi sono utilizzare ogni giorno una borraccia riempita con acqua del rubinetto, anziché acquistare bottiglie.
Non uso sacchetti di plastica ma borse di tessuto, e quando posso utilizzo la bicicletta per spostarmi all’interno della città. Di certo i cambiamenti dovrebbero avvenire da parte delle grandi aziende, supportati da regolamentazioni e leggi, ma un passo importante avverrebbe grazie anche al cambiamento e alla mobilitazione dei singoli.
Quali le tue prossime “missioni” ecologiste?
Il racconto fotografico fa parte di un progetto più ambizioso che vorrebbe andare ad ampliare il numero di realtà post industriali inglesi ed europee. Aggiungere delle altre località oltre a Port Talbot per avere una visione oggettiva e contemporanea di realtà critiche che vivono e subiscono il problema dell’inquinamento.
Il desiderio ultimo sarebbe quello di riuscire a dare risposte, oltre che porsi delle domande.