Si potranno mai estendere i concetti legati all’economia circolare in Italia al commercio elettronico? Quello insomma dove tutti noi cadiamo perché i prezzi sono convenienti, la facilità dell’acquisto e la consegna a domicilio incontrano la nostra pigrizia senza capire che si tratta per lo più di un acquisto di prodotti usa e getta, di breve durata, non riparabili, difficilmente riciclabili, distribuiti con imballaggi voluminosi?
La domanda, oltre a noi, se la sono posta gli addetti ai lavori del Circular Economy Network – la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da 13 aziende e associazioni di impresa – e da Enea durante la presentazione del nuovo Rapporto nazionale sull’economia circolare.
Questo tipo di commercio tende ad alimentare un modello di economia lineare che aumenta gli sprechi di risorse. Quindi, malgrado sia espressione di una tendenza più che moderna, mal si adatta ai temi cardini dell’economia circolare che puntano a sostenere la sostenibilità ambientale e facilitare la riduzione delle emissioni di gas serra.
Economia circolare in Italia, una bella fotografia
Ciò detto, l’Italia non è messa male: ovvero, di azioni in ambito economia circolare ne fa e anche bene. E abbiamo anche migliorato le performance tanto da battere la Germania 103 a 88 (valore attribuito secondo il grado di uso efficiente delle risorse, utilizzo di materie prime seconde e innovazione nelle categorie produzione, consumo, gestione rifiuti).
Ma il problema dell’e-commerce non è il solo. Ci sono altre nubi all’orizzonte: la nostra corsa verso i traguardi della circolarità rischia di arrestarsi, mentre quella degli altri grandi Paesi del continente sta prendendo slancio anche grazie al nuovo pacchetto di direttive approvato nel luglio scorso.
Come afferma Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile e del Circular Economy Network, “servono un piano e una strategia nazionale, una regolazione sull’end of waste che permetta ai numerosi progetti industriali in attesa di autorizzazione di partire. Ma serve anche una visione politica e amministrativa che manovri le leve della fiscalità, degli incentivi all’innovazione in favore dell’economia circolare, che va pensata non come un comparto, ma come un vero e proprio cambiamento profondo di modello economico“.
E serve un’agenzia nazionale: “oggi il nostro Paese ha tutte le qualifiche per una transizione di successo dall’economia lineare all’economia circolare, ma” è l’appello di Roberto Morabito, Direttore del Dipartimento Sostenibilità dell’Enea “occorre superare ancora ostacoli e barriere. Da qui l’importanza di dar vita a un’Agenzia Nazionale per l’uso e la gestione efficiente delle risorse che possa supportare la transizione verso l’economia circolare in termini di tecnologie, metodologie e strumenti di pianificazione, gestione e misurazione“.
Perché, le opportunità non mancano e sarebbe anacronistico farsele scappare. “Nei settori del riciclo, del riuso e della riparazione l’Italia registra un ottimo livello di occupazione, il 2,1% del totale, al di sopra della media UE 28 che si ferma a quota 1,7%” dice il vicepresidente del Circular Economy Network Luca Dal Fabbro “Dobbiamo lavorare per rafforzare ulteriormente questa posizione, facendo in modo che le istituzioni e le aziende riescano a lavorare in maniera sempre più sinergica“.