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Ma è vero che non siamo neurologicamente sostenibili?

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Ma qual è il nostro problema con la sostenibilità? Più sale l’attenzione verso il mondo della sostenibilità, più è difficile capire chi sia il vero cittadino sostenibile.

Eppure, anche su queste pagine, abbiamo descritto, intervistato, mostrato tante volte questo cittadino sostenibile. E ci pare che abbia di tutte le età e professioni, religioni e colore della pelle.

È lo stesso Renato Mannheimer dell’Istituto di ricerca Eumetra (che per il 5° anno su iniziativa di Lifegate va sulla traccia degli italiani che amano il green) ad ammettere: “Gli italiani sanno cosa sia la sostenibilità (il 32% ne ha piena comprensione); c’è tanta gente attenta (il 97% degli 800 intervistati crede sia necessario attivare azioni che limitino l’utilizzo della plastica), e che anche dice di vivere in maniera sostenibile (anzi il 23% è disposto a preferire auto ibride o elettriche anche se il costo dovesse essere maggiore). Ma” gigioneggia “sono risposte date per telefono…“.

Il dubbio allora è che tanti bleffino? Eppure, dovrebbe essere naturale a tutti noi impostare la nostra vita nel rispetto di noi stessi e dell’ambiente. Dove sta lo scarto?

La risposta la troviamo nelle parole di Oscar Di Montigny autore del libro Il tempo dei nuovi eroi ed esperto di Innovability: “neurologicamente non siamo programmati per capire il problema ambientale e, soprattutto, non abbiamo ancora messo in luce che siamo tutti correlati, come la filosofia buddista e le fisica quantistica affermano. Così, non abbiamo ancora capito fino in fondo che il problema ambientale è un problema nostro“.

Luca Morari, vice presidente di Ricola per il Sud Europa, lo dice con altre parole “soffriamo di plant blindness e non ci rendiamo conto di quanto invece sia importante la natura per noi“.

Dovremmo allora darci per vinti? Neanche per sogno. La cultura, siamo convinti, che possa (debba!) modificare anche il nostro primitivo assetto neurologico. Si farà un po’ fatica, come è sempre stato: “Il verde” dice Simona Bordone, responsabile dei progetti speciali Domus “è un colore che non è mai piaciuto agli antichi, perché non si riusciva a stabilizzarlo“.

Ma poi ci siamo riusciti e lo abbiamo fatto diventare il colore della rivolta ambientalista. Che abbiamo notato non è più in mano ai radical chic o ai fricchettoni, ma è anche motore professionale e industriale.

Per questo continuiamo a sollecitare il cambiamento nelle aziende. La riqualificazione produttiva che Antonio Calabrò, qui in veste di vicepresidnete di Assolombarda dice essere in atto.

Però, diciamocelo, le aziende non devono seguire la sostenibilità solo per conquistare clienti e vendere, unicamente, di più. Perché anche questa tendenza deve cambiare. Vendere bene non è vendere di più.

Chiediamo poi che le amministrazioni seguano percorsi green. Che i territori, già ormai, bistrattati dagli stravolgimenti climatici siano curati e protetti. Che le città diventino verdi perché solo gli alberi le possono salvare.

Come afferma l’urbanista Stefano Boeri: “la sfida è globale e le città da cause del maggior inquinamento devono diventare soluzioni“.

Ma va fatto subito” è la chiosa di BoeriSe è vero che dobbiamo estinguerci tanto vale farlo con eleganza“.

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