Ottime prospettive per la coltivazione tecnologica a spazio ridotto – quella delle vertical farm – per le quali si prevede una crescita a doppia cifra nei prossimi anni che inizia a raccogliere l’attenzione dei grandi player del settore retail
Sempre più necessità di cibo e spazi sempre più concentrati per riuscirci: lo scenario futuro della produzione agricola sarà questo e l’industria alimentare dovrà fronteggiare una richiesta molto alta avendo a disposizione spazi delimitati (la stima al 2050 della popolazione mondiale è di 9 miliardi di abitanti).
Ecco allora che le vertical farm potranno garantire il sostentamento richiesto. Ma di cosa si tratta esattamente? Intendiamo con questa definizione dei centri di autoproduzione di cibo, veri e propri edifici che ricreano le situazioni ambientali adatte alla crescita di varie tipologie di piante e ortaggi.
Potremo quindi trovarci di fronte a immensi grattacieli costruiti unicamente per la produzione di cibo o la coltura agricola, ma anche a edifici di ridotte dimensioni oppure a situazioni ibride nelle quali la costruzione serva sia da abitazione che da “campo di produzione”.
Dall’ideazione delle vertical farm nel 2008 – merito da attribuire al professore della Columbia University, Dickson Despommier – le sperimentazioni e gli sviluppi hanno fatto grandi passi avanti tanto che oggi il fenomeno oltre che conosciuto e diffuso è ritenuto anche economicamente sostenibile.
L’analisi di questo settore da parte di tre recenti ricerche di mercato (realizzate da Markets&Markets, Allied Market Research e Global Market Insights) ha mostrato una previsione di crescita media annua superiore al 20%, da qui al 2026.
Stime sulla dimensione del mercato diverse ma che mostrano una significativa concordanza dei dati sulla crescita in doppia cifra di un settore che passerà dai 2,23 miliardi di dollari del 2018 ai 12,77 previsti per il 2026.
Anche sui fattori trainanti di questo sviluppo, le tre ricerche sono concordi: aumento della popolazione soprattutto nelle città; scarsità di nuove terre coltivabili ancora disponibili; necessità di ridurre l’impatto ambientale diretto e indiretto della produzione primaria di cibo; richiesta di alimenti freschi e di migliore qualità.
Per questo motivo, cavalcando questi trend in anticipo rispetto agli altri, grandi retailer internazionali iniziano a offrire prodotti a metro zero all’interno delle loro strutture commerciali.
Whole Foods Market, catena di cibo organic e di alta qualità del gruppo Amazon, sta accelerando nell’adozione di fattorie verticali di piccole e medie dimensioni per coltivazioni fuori suolo all’interno o in prossimità dei propri store.
A New York, per esempio, vengono prodotti verdure a foglia, microgreen ed erbe aromatiche, mentre nel New Jersey e recentemente anche a Boston, la produzione si concentra sui funghi.
In Europa, l’avanguardia è rappresentata dalla startup berlinese Infarm, che ha appena concluso un accordo con Marks&Spencer per installare entro la fine dell’anno e gestire in sette punti vendita a Londra mini-vertical farm per la coltivazione di piante aromatiche come il basilico.
Infarm ha già accordi in corso con altri retailer in Europa, come Intermarche, Migros, Amazon Fresh e Metro.
In Italia, il Gruppo Iper punta invece per ora sulle serre idroponiche più tradizionali a sviluppo orizzontale, come nei pressi degli ipermercati di Arese e di Seriate.
Un approfondimento con i protagonisti, le tecnologie e le ricerche di questa rivoluzione agricola si potrà avere anche a NovelFarm nel febbraio prossimo fiera che porrà l’attenzione anche sul prodotto finale: bancone ortaggi, piccoli frutti, verdure, erbe officinali, aromatiche e persino frutta, coltivati in fuori suolo.