Ma i Fap, così come familiarmente chiamiamo i filtri antiparticolato, sono efficienti nell’abbattere l’inquinamento? E come funzionano?
Analizzando i risultati di uno studio scientifico commissionato da Transport & Environment e condotto dalla società specializzata Ricardo possiamo trarre alcune importanti considerazioni e risposte alle nostre domande.
Lo studio si è concentrato sulla misurazione delle emissioni in condizioni di guida reale (banco a rulli) su due mezzi molto diffusi in Europa: la Opel Astra e la Nissan Qashqai, entrambi diesel Euro6d, di cui sono state in primo luogo analizzate le diverse strategie di abbattimento degli inquinanti.
E da qui arriva la prima importante informazione: i Fap (qui sopra sono schematizzati) non sono in grado di eliminare le particelle nocive, ma solo di catturarle. Queste, infatti, si accumulano nel dispositivo che perciò, periodicamente, deve essere ripulito per continuare a svolgere la sua funzione.
Questa ripulitura (che con opportuno eufemismo viene chiamata rigenerazione) consiste in estrema sintesi nel riscaldamento a temperature molto alte (anche oltre 700°C) dei filtri antiparticolato stessi per bruciare i residui.
La rigenerazione avviene circa ogni 450 chilometri e l’elettronica cerca di fare in modo che avvenga durante fasi di guida a elevata velocità, che si presuppongono avvenire in autostrada, per evitare di scaricare in città questi scarti emissivi.
Il test è stato effettuato con partenze a caldo e a freddo e con vari cicli di guida per simulare condizioni diverse; essendo ciascun test della durata di circa 85 chilometri, gli episodi di rigenerazione (che non vengono certo pubblicizzati tramite l’accensione di una spia sul cruscotto) si sono manifestati solo in alcuni casi, permettendo di confrontare le emissioni medie in presenza e in assenza di tali episodi.
Risultati del test sui filtri antiparticolato
Il problema è che, com’è abbastanza ovvio, tutte le emissioni inquinanti aumentano vertiginosamente durante le fasi di rigenerazione (misericordiosamente brevi ma non brevissime, circa 15 chilometri); fortunatamente i valori degli agenti inquinanti più noti (CO, CO2, NOx, PM…), pur con questo aumento restano al di sotto dei rispettivi valori limite, con una importante eccezione, quella del numero di particelle (PN).
La misura del PN è stata introdotta quando ci si è resi conto che, misurando la massa delle particelle emesse, non si teneva conto della ben maggiore pericolosità delle particelle ultrasottili, che molto più facilmente penetrano nel sistema respiratorio causandovi danni gravissimi.
Il risultato dalla misura del PN è inequivocabile: il limite UE (600 miliardi di particelle per chilometro) viene significativamente superato ogniqualvolta si verifica un evento di rigenerazione ma, paradossalmente, le regole di misurazione della UE dicono che, in tali casi, il risultato del test va ignorato!
Evoluzione delle procedure di misura
Il report, poi, offre una valutazione (purtroppo ancor più preoccupante) per quanto riguarda le particelle ancor più piccole (tra 10 e 23 nm) che, in questo momento, non sono regolamentate dalla UE: includendole (secondo la logica che più sono piccole, più sono dannose) il numero di emissioni raddoppierebbe.
Meno critica sembra la situazione sulle particelle ancor più piccole (sotto i 10nm) il cui quantitativo sembra inferiore al 10% delle emissioni totali.
Lo stesso discorso che vale per le particelle volatili e semi-volatili che ora non vengono né misurate né intercettate dai filtri antiparticolato attuali: queste particelle hanno dimensioni comprese tra 5 e 1000nm e in questo test ne è stato misurato il numero che è da 15 a 77 volte maggiore di quello delle particelle solide.
Sembra dunque auspicabile che la fase di rigenerazione, responsabile della maggior parte delle emissioni di particolato nei motori diesel venga fatta oggetto di una più stringente procedura di misurazione nei futuri standard emissivi.
Test reali e test teorici
L’ultima conclusione – e forse quella di maggiore importanza – è che questi test sono stati effettuati in condizioni di guida reale (Rde) invece che in un ciclo simulato come il Wltp (Worldwide Harmonised Light-Duty Vehicles Test Procedure – procedura di controllo armonizzata a livello mondiale per veicoli commerciali leggeri – misurazione che rileva i consumi di un veicolo).
Confrontando l’incremento emissivo durante la fase di rigenerazione misurato con il ciclo Wltp (barra azzurra) con quelle Rde (barra blu) si ricava un quadro di sconfortante sottostima del ruolo della fase rigenerativa nel computo totale delle emissioni di un motore diesel.
Informiamo il lettore le illustrazioni sono state tratte dallo studio di Transport & Environment che è disponibile solo in inglese (a parte le conclusioni).