C’è correlazione tra le diossine e la diffusione del Coronavirus? In questa lettera aperta un nostro lettore ha raccolto le sue idee, collegate a dati di fatto. E lancia l’idea di uno screening della formula leucocitaria di tutti i pazienti affetti da Covid19
“Sottopongo una mia riflessione, al momento con validità meramente intuitiva, per cercare di dare una spiegazione al fenomeno“. Scrive così alla redazione di Green Planner Eugenio Rogano, ingegnere chimico, che in passato ha approfondito il tema dell’emissione delle diossine dagli impianti di termodistruzione.
Appare, ormai, chiaro come l’attuale epidemia di Coronoavirus abbia colpito l’Italia in maniera differenziata: esistono, infatti, zone del nostro paese maggiormente interessate sia per numero di contagi quanto, purtroppo, per conseguenti decessi.
Una parte del mondo scientifico comincia a evidenziare, in analogia con quanto successo anche in Francia e Spagna, una relazione tra questo maggiore impatto e la qualità dell’aria esterna: come se il virus colpisse maggiormente le aree più inquinate.
Questa correlazione, comunque, riguarderebbe la maggiore velocità di diffusione del virus in relazione alla presenza di una maggiore quantità di polveri sottili disperse in aria, generando un pericoloso effetto aerosol, pur tuttavia senza spiegare il secondo lato oscuro del problema, ovvero l’altissima percentuale di mortalità del virus sugli abitanti di alcune zone rispetto ad altre, come se alcuni soggetti fossero più predisposti alle complicazioni rispetto ad altri, oppure fossero meno in grado di difendersi.
È stata messa in relazione la predisposizione al Covid19 con la tipizzazione linfocitaria e in particolare alla quantità dei linfociti T CD8 indicando una soglia di preoccupazione qualora la quantità dei linfociti T suppressor (CD8) risulti superiore alla quantità dei linfociti T Helper (CD4).
Un recentissimo lavoro di ricerca dell’ultimo anno (Post.C.M., Boule L.A., Burke C.G.,O’Dell C.T., Winans B., Lawrence B.P. (2019) The Ancestral Environment Shapes Antiviral CD8+ T cell Responses across Generations. iScience; doi: 10.1016/j.sci.2019.09.014) ha monitorato la maturazione della citotossicità dei linfociti TCD8+ in seguito a un’infezione volontaria delle prime vie aeree.
Su topolini da laboratorio, contagiati con il virus dell’influenza, si è manifestato un grado di compromissione nella funzionalità dei Ctl (Cytotoxic T Lymphocytes) nei soggetti precedentemente esposti alle diossine: questi ultimi,infatti, presentavano una risposta immunitaria molto debole, rendendoli più esposti a patologie respiratorie come tracheite, influenza, raffreddore e laringite, circostanza che, purtroppo, si palesava anche sulle generazioni discendenti.
Anche nel recente passato, inoltre, autorevoli studi scientifici (Burleson GR, Lebrec H, Yang YG, Ibanes JD, Pennington KN, Birnbaum LS. (1996). Effect of 2,3,7,8-tetrachlorodibenzo-p-dioxin (TCDD) on influenza virus host resistance in mice. Fundam Appl Toxicol. 1996 Jan;29(1):40-7) hanno evidenziato che l’esposizione di un topolino a una singola somministrazione di diossina pari a 10 ng/kg p.v. causa un evidente aumento della mortalità in seguito a esposizione al virus dell’influenza.
Considerato che, una delle principali fonti di emissione puntuale di diossine sono gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani, l’idea, a questo punto, è stata quella di sovrapporre la mappa del contagio in Italia (fonte Protezione Civile) con quella della distribuzione di impianti di incenerimento sul territorio nazionale ottenendo una corrispondenza estremamente elevata.
Questa che, allo stato, è poco più di un’intuizione potrebbe meritare un maggiore approfondimento da parte del mondo scientifico, soprattutto in relazione a una raccolta mirata di dati epidemiologici relativi ai soggetti affetti da Coronavirus che, in molti casi, non potrebbero essere ripetibili in futuro per esempio uno screening della formula leucocitaria di tutti i pazienti affetti da questa patologia.
lettera inviata alla redazione da Eugenio Rogano