In molti pensano che l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo sia stata innescata da un altro grave problema creato da noi umani: la crisi ambientale. Che è poi tutt’uno con l’emergenza climatica
Rimbombano le parole di Papa Francesco: “Ci siamo illusi di poter essere sani in un mondo malato“.
Per una buona ripresa, quindi, bisogna accelerare sul fattore green. Con i dovuti fondi e supporti economici, come il progetto Green Deal della Commissione europea ha iniziato a pianificare a inizio anno.
Ma poi… sappiamo cosa sia successo. Anzi, cosa stia succedendo: blocco totale dell’economia e morte. Troppe morti.
Al lutto si aggiunge un timore profondo, ovvero che la nuova emergenza sanitaria possa distogliere fondi e attenzione appunto all’altra emergenza: quella causata dalla crisi ambientale.
Cosi, un gruppo di associazioni ambientaliste (le più attive in Italia) hanno inviato una lettera aperta ai Presidenti delle Commissioni permanenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica affinché “riprendano i lavori, anche ricorrendo ad attività in remoto, come stanno facendo tante aziende e istituzioni del Paese, incluse quelle dell’Istruzione e dell’Università, che in questo modo permettono a tutti noi di avere beni e servizi di prima necessità“.
Risolvere la crisi ambientale per ripartire
Il Paese deve ripartire nel modo giusto, realizzando la sostenibilità enunciata nei programmi dei Governi nazionale ed Europeo (il Green Deal, appunto) per la prosperità delle aziende e del Paese, mettendo al primo posto la salute ambientale e umana, come prerequisito per un sano sviluppo economico.
Il sistema delle aziende green italiane, leader a livello europeo è pronto a dare il proprio contributo a queste auspicabili scelte politiche.
Marevivo, Accademia Kronos, Cetri-Tires, CoMisma, Fise Unicircular , Fondazione Symbola, Fondazione Univerde, Greenpeace, Italia Nostra, Kyoto Club, Lav, Legambiente, Lipu-Birdlife Italia, Stazione Zoologica Anton Dohrn Napoli, Università UniCamillus, WwfItalia hanno così chiesto che siano approvate “leggi sui cambiamenti climatici, l’economia circolare e la difesa della biodiversità negli habitat terrestri e marini“.
Secondo Ada Rosa Balzan, esperta e docente di sostenibilità, bisogna sviluppare al più presto “una presa di consapevolezza per rivedere, non solo in Italia ma nel resto del mondo, il paradigma economico attuale. Già negli anni ’80, esattamente nel 1987 la definizione di sostenibilità parlava di sviluppo abolendo la parola crescita: non sono i numeri in incremento che dicono che un’economia è sana ma come si sta sviluppando. Puntare sulla qualità non più sulle quantità, e nel concetto di qualità oggi più che mai sono inclusi i criteri Esg (i 17 goal dell’Onu), gli aspetti cioè ambientali, sociali e la governance“.
Non facciamo il gioco delle due carte: “Alcuni paesi stanno già considerando la possibilità di disinvestire i fondi destinati al Green Deal e usarli per offrire supporto in questa situazione di bisogno – è l’allarme di Marco Golinelli, director energy solutions di Wartsila Italia – ma è altresì vero che investire nel Green Deal potrebbe conseguentemente portare benefici e stimolare l’economia, creando posti di lavoro e nuovi mercati sostenibili, tenendo bene a mente che i cambiamenti climatici sono una delle maggiori minacce per il pianeta. In altre parole, Il Green Deal può avere un duplice effetto positivo“.
Riusciremo, quindi a far nostre le buone prassi tipiche delle economie circolari o cosiddette green? In giro ci sono più ottimisti che pessimisti. Per fortuna, perché non sarebbe questo il momento per perdere fiducia in un progresso sostenibile.
“Certamente questa crisi globale ci costringerà a riconsiderare il nostro modo di vivere e il conseguente impatto delle nostre azioni – afferma Golinelli – Ma la nostra speranza è che una maggiore consapevolezza ci aiuti anche nel riconsiderare le buone prassi e i principi per un’economia sostenibile. Le teorie relative all’economia circolare sono state studiate approfonditamente: questo potrebbe essere il momento giusto per un’ulteriore implementazione e applicazione“.
Si tratta comunque di una sfida. E anche imponente, ma “forse le immagini degli scaffali vuoti e l’incredibile mancanza dei dispositivi di protezione individuale che abbiamo visto in questi giorni – riflette a proposito Tommaso De Luca, corporate communication manager di Lucart – ci spingeranno a ripensare a un sistema produttivo più capillare, diffuso e attento, dove la manifattura 4.0 aiuterà ad usare le risorse locali nel modo più intelligente ed efficiente possibile, in ottica circolare. Dovremo essere meno dipendenti da altri Paesi o da altre aree del mondo per le materie prime o per la produzione di beni di prima necessità, e quindi le materie prime seconde saranno un elemento importantissimo di questa trasformazione industriale“.
Insomma, di cose da fare ce ne sono. Su quali leve puntare allora per una ripresa da Covid e dalla crisi ambientale e climatica?
Ada Rosa Balzan non ha dubbi: “nella diffusione della cultura di cosa sia esattamente la sostenibilità. Il tema viene ancora troppo spesso visto solo lato ambientale mentre va sempre presa e analizzata nel suo complesso sociale ed economico“.
Un tema che, per prima cosa, sono proprio le aziende a dover capire. Sempre che vogliano cavalcare una buona ripresa non solo economica, ma che risolva anche la crisi ambientale.