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Inquinamento da plastica nei mari e nei fiumi: la soluzione della startup Seads

combattere l'inquinamento dei mari - inquinamento a plastica

L’inquinamento da plastica nei mari assume ogni giorno di più dimensioni drammatiche: la startup Seads ha messo a punto un sistema per fermare i rifiuti plastici prima che arrivino al mare

I rifiuti plastici hanno invaso mari e oceani, strangolando la vita degli animali marini e causando enormi devastazioni nella biodiversità, anche vegetale. Le enormi isole plastiche sono solo l’aspetto più appariscente del fenomeno.

Il pericolo più subdolo, infatti, è rappresentato dalle microplastiche, frammenti più piccoli e insidiosi, che nel Mediterraneo – secondo le ricerche del Wwf – raggiungono concentrazioni quasi 4 volte superiori a quelle registrate nell’isola di plastica del Pacifico settentrionale.

Microplastiche che invadono anche la catena alimentare – vengono mangiate dai pesci, dai molluschi e dagli animali marini – mettendo quindi in pericolo anche la salute umana.

L’inquinamento da plastica nei mari

Un recente studio del Wwf mostra come oggi siano presenti oltre 150 milioni di tonnellate di plastica negli oceani del mondo. Le stime per il futuro sono preoccupanti: se non cambiamo atteggiamento verso questo pericolo entro il 2025 gli oceani conterranno 1 tonnellata di plastica ogni 3 tonnellate di pesce ed entro il 2050 ci sarà, in peso, più plastica che pesce negli oceani.

Per l’intero Pianeta l’ecosistema marino è fondamentale perché produce il 70% di tutto l’ossigeno e cattura il 25% della CO2.

Nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite la lotta all’inquinamento da plastica nei mari è incluso nelle aree di azione dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 14, La vita sott’acqua.

Inoltre, nel 2018, l’Unep – il programma ambiente delle Nazioni Unite – ha inserito il problema dell’inquinamento da plastica negli oceani tra le sei emergenze ambientali più gravi (insieme a cambiamenti climatici, acidificazione degli oceani e perdita di biodiversità).

I dati del Wwf mostrano inoltre che la plastica rappresenta la quasi totalità (60-95%) dei rifiuti rinvenuti nei mari del mondo e il principale rifiuto rinvenuto sulle spiagge e sui sedimenti marini. L’80% di tutta questa plastica proviene da fonti terresti, il 20% da fonti marine (come pesca, acquacoltura e trasporto navale).

Un problema perché le plastiche non si biodegradano prima di centinaia o migliaia di anni: la plastica usa e getta resta così in mare per periodi che vanno dai 5 anni per un filtro di sigaretta, 20 anni per una busta, 50 anni per un bicchiere e fino a 600 anni
per un filo da pesca.

Seads, la startup che propone la soluzione Blue Barriers per contrastare l’inquinamento da plastica

Ma ancor prima di arrivare al mare la plastica invade i fiumi. Già perché non tutti sanno che quasi l’80% della plastica che inquina i nostri mari vi arriva attraverso i fiumi.

In particolare dal corso di soli dieci fiumi – Yangtze, Nilo, Gange, Indo, Fiume Giallo, Hai he, il fiume delle Perle, Amur, Niger e Mekong – arriva circa il 60% di tutto l’inquinamento da plastica.

Da qui vuole partire la soluzione di Seads (Sea Defence Solutions) attraverso delle barriere che blocchino la plastica direttamente nei fiumi che la trasportano versi mari e oceani.

Il funzionamento del progetto viene spiegato dal fondatore della startup Fabio Dalmonte che racconta di come le barriere in fase di progettazione siano galleggianti, rigide e resistenti a sufficienza da poter essere considerate una soluzione definitiva, che quindi possano resistere a qualsiasi condizione del fiume e a oggetti di grosse dimensioni trasportati dalle correnti, come per esempio gli alberi.

Un progetto che non soltanto “filtra” i rifiuti sui fiumi ma consente di creare un indotto virtuoso che aiuta a sviluppare l’economia dei paesi in cui queste installazioni vengono realizzate; in particolare oggi ci sono due progetti già in fase di realizzazione – sul fiume Sarno in Campania, dove l’installazione sta aspettando le autorizzazioni finali, e sul fiume Ciliwung a Giacarta. Altri progetti sono invece ancora in fase di discussione (5 in Italia e 7 nel resto del mondo).

Le barriere – ogni progetto ne prevede almeno 2, sfalsate in modo da permettere il passaggio dei pesci e delle imbarcazioni – saranno per un metro e mezzo circa sott’acqua e avranno una struttura interna che ne manterrà la flessibilità e rinforzerà la capacità di supportare correnti e tronchi.

Saranno posizionate in diagonale rispetto al flusso dell’acqua per creare una corrente che trasporterà i rifiuti verso il lato del fiume, dove verrà costruito un bacino di collezione in cui gli scarti verranno accumulati, prelevati e avviati alla selezione.

Questo perché l’idea di Seads è anche di creare un indotto economico che aiuti a creare benessere e lavoro, oltre che a fare del bene all’ambiente; nell’idea del fondatore i centri di selezione dovrebbero espandersi per accettare i rifiuti che provengono anche da zone limitrofe urbane e industriali, per produrre profitto per le comunità locali e aumentare la qualità della gestione dell’immondizia.

Dal piano economico di Seads, l’installazione di queste barriere su un fiume di 100 metri di larghezza, arriverebbe a costare circa 1 milione di euro – compreso l’impianto di trattamento dei rifiuti attraverso la pirolisi – con la capacità di processarne circa 1.500 tonnellate, generando 450.000 euro all’anno con un ritorno sull’investimento in 10 anni del 45%.

inquinamento da plastica - seads roi
fonte Seads

Mauro Nardocci, co-founder and communication director di Seads, conferma a Green Planner che “richiedere investimenti significativi alle amministrazioni di paesi in via di sviluppo per fermare tutta questa plastica è una grossa sfida. Proprio per questo il nostro approccio mira a combinare la protezione dell’ambiente con la valorizzazione del rifiuto raccolto. Siamo oggi in grado di produrre soluzioni che non solo proteggono l’ambiente e migliorano le condizioni di vita delle comunità locali, ma permettono anche di generare risorse finanziarie per le autorità pubbliche“.

Proprio per questo, continua Nardocci, “prevediamo sia il riciclo della plastica di alta qualità raccolta, sia la trasformazione della plastica di bassa qualità attraverso impianti di pirolisi in olio che può, a sua volta, essere utilizzato per generare nuova plastica o energia. A seconda della larghezza del fiume e della quantità di plastica raccolta sia dal fiume che dall’entroterra, è un investimento con un ritorno potenziale inferiore ai 5 anni e un Roi – return of investment – su 10 anni superiore al 40%“.

I dati dell’inquinamento a livello mondiale

Ecco alcuni interessanti dati sulla diffusione della plastica nel nostro Pianeta.

  1. negli ultimi 15 anni si è prodotta la metà di tutta la plastica oggi presente
  2. la produzione di plastica è cresciuta dai 2,3 milioni di tonnellate del 1950 ai 448 milioni di tonnellate del 2015
  3. le stime dicono che questo dato dovrebbe raddoppiare dal 2050
  4. 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica circa finiscono ogni anno negli oceani
  5. spesso le plastiche contengono additivi che le rendono più resistenti, motivo per il quale si stima che alcuni prodotti necessitino di almeno 400 anni per degradarsi
  6. la produzione di plastica assorbe l’8% della produzione mondiale di petrolio
  7. oggi soltanto il 3% della plastica prodotta viene riciclato
  8. circa la metà della quantità di plastica prodotta annualmente viene impiegata per produrre articoli monouso o imballaggi che vengono buttati entro l’anno
  9. se non camino i ritmi di produzione della plastica, gli oceani nel 2025 conterranno una tonnellate di plastica ogni 3 tonnellate di pesce
  10. nel 2050 negli oceani del mondo ci sarà più plastica che pesci (per peso)
  11. dal 1950 abbiamo prodotto circa 8,3 miliardi di tonnellate di plastica
  12. il 79% di questa plastica è finita nelle discariche e nell’ambiente
  13. il 12% di questa plastica è stato incenerito
  14. il 9% di questa plastica è stato riciclato

Inquinamento da plastica e microplastica

A preoccupare maggiormente l’opinione pubblica sono le macroplastiche, rifiuti di grandi dimensioni provenienti da oggetti comuni e quasi tutti monouso come sacchetti, filtri delle sigarette, palloncini, bottiglie, tappi o cannucce.

Il vero pericolo invece arriva dalle microplastiche, frammenti inferiori ai 5 millimetri, che hanno un impatto devastante sulla vita marina. Alcune microplastiche si formano direttamente in mare, in seguito alla degradazione di plastiche più grandi per effetto del vento, del moto ondoso o della luce ultravioletta.

Altre, invece, vengono direttamente prodotte dall’industria – per esempio i pellet (granuli di plastica trasportati, fusi e trasformati in oggetti di plastica di uso quotidiano), oppure gli agenti esfolianti, gli additivi per i saponi, le creme, i gel e i dentifrici – o ancora vengono create in modo accidentale dalla polvere degli pneumatici o dal lavaggio delle fibre sintetiche degli indumenti.

Ma le microplastiche sono un problema anche per la terra, non soltanto per gli oceani: infatti queste particelle contaminano anche aria e acqua – imbottigliata o di rubinetto – ma anche alimenti come la birra, il sale o il miele.

Il danno anche economico è gigantesco: i milioni di tonnellate di rifiuti plastici che ogni anno arrivano nei mari e negli oceani provocano più di 13 miliardi di dollari l’anno di
danni agli ecosistemi marini, causando gravi perdite economiche anche ai settori del turismo e della pesca, così come facendo salire i costi per la pulizia di spiagge e litorali.

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