La recente sentenza della Corte Suprema Norvegese a favore di Apple, nel caso giudiziario che la opponeva al riparatore indipendente Henrik Huseby, complica per i consumatori la strada verso il Diritto alla Riparazione
La Corte Suprema Norvegese si è espressa a favore di Apple rendendo arduo il cammino verso il Diritto alla Riparazione, che ha subito un brusco arresto. Ma veniamo ai dettagli della vicenda.
Il riparatore indipendente Henrik Huseby, titolare di un piccolo negozio a Ski in Norvegia, è stato ritenuto colpevole di aver infranto la legge che protegge i marchi, importando illegalmente schermi iPhone ricondizionati dalla Cina (si tratta di schermi che presentano un minuscolo logo Apple contraffatto occultato da uno strato di inchiostro nero).
Come tutti i riparatori indipendenti per effettuare riparazioni di iPhone, Henrik Huseby utilizza pezzi di ricambio usati o ricondizionati, non potendo accedere a pezzi di ricambio originali Apple, riservati unicamente ai molto più cari servizi post-vendita Apple e ai centri d’assistenza autorizzati.
Con la sua sentenza, la Corte Suprema Norvegese consolida il monopolio che Apple esercita sul mercato delle riparazioni e il relativo controllo sul costo delle riparazioni.
La campagna per il Diritto alla Riparazione – dei movimenti Repair – vuole invece rimuovere tutti gli ostacoli alla riparazione, garantendo l’accesso universale ai pezzi di ricambio e alla documentazione, così che i prodotti possano essere utilizzati il più a lungo possibile, permettendo di risparmiare risorse naturali, energia e denaro, e di ridurre l’enorme quantità di e-waste che produciamo oggi in Europa, qualcosa come un po’ più di un quarto dei 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettrici ed elettronici prodotti ogni anno nel mondo.
Facciamo il punto sul movimento Restart in Italia: in quanti siete, dove agite?
La campagna per il Diritto alla Riparazione coinvolge i gruppi di volontari che riparano dispositivi elettrici ed elettronici, i Restarters, ma anche i Repair Cafés, riparatori volontari che riparano tutto: mobili, vestiti, ceramica, utensili, oltre che apparecchi elettrici ed elettronici.
In Italia ci sono almeno 29 gruppi di riparatori che abbiamo repertoriato sulla mappa dei Restarters e dei Repair Café italiani per aiutare chi è interessato alla riparazione comunitaria a trovare il gruppo più vicino, e se non ne trova, a crearne uno nuovo.
In termini di distribuzione geografica, troviamo gruppi di riparatori volontari in tutte le principali città del nord e del centro italia e in centri più piccoli in Lombardia, Marche, Sardegna e Trentino Alto Adige.
Come state combattendo l’obsolescenza programmata?
Siamo parte di una rete europea di attivisti che esercita pressione sugli organi dell’Unione Europea che lavorano al nuovo Piano d’Azione per l’economia circolare.
Coordinati dai nostri rappresentanti a Bruxelles, agiamo formulando proposte politiche, promuovendo petizioni, organizzando manifestazioni e proponendo analisi sull’impatto ambientale e sociale della riparazione. Il contesto è molto favorevole.
I media seguono con grande interesse le iniziative che permettono di ridurre gli sprechi, di prolungare la vita dei prodotti e di facilitarne il riuso. E i cittadini partecipano attivamente agli appuntamenti con i riparatori volontari e alle nostre campagne.
In Italia, per esempio, sono stati più di 100.000 a firmare la nostra prima petizione per il Diritto alla Riparazione a cavallo tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, che abbiamo presentato a Roma, al Ministro Sergio Costa, e a Bruxelles, al Consiglio d’Europa prima del primo voto decisivo sulla riparabiltà degli elettrodomestici del gennaio 2019.
Quali sono le istituzioni che vi appoggiano?
La rete di associazioni, organizzazioni e istituzioni che sostengono la campagna per il Diritto alla Riparazione è lunga, e raccoglie sempre più sostenitori. Potete consultarla online. In Italia, è Giacimenti Urbani che coordina le attività, lavorando in stretta collaborazione con il gruppo Restarters Milano.
Chi invece vi combatte e in che modo?
Uomini politici, funzionari e imprenditori che continuano a pensare che la crescita economica dipenda esclusivamente da quanti prodotti nuovi si riescono a produrre e a vendere, che progettano prodotti poco durevoli, non smontabili, e quindi non riparabili, che non rilasciano pezzi di ricambio e documentazione tecnica per aggiustarli, che introducono elementi nel prodotto che interrompono il buon funzionamento del prodotto qualche giorno dopo la fine della garanzia, ma anche colossi dell’industria, come Apple, che non mettono a disposizione dei riparatori, professionisti e non, i pezzi di ricambio necessari per svolgere il loro mestiere.
Avete fatto dei calcoli su come il movimento Restart agisce a favore dell’ambiente?
Per quanto riguarda i dispositivi elettrici ed elettronici, come gli smartphone per esempio, è importante ricordare che il principale impatto ambientale avviene a monte e a valle dell’uso.
Lo studio di European Environmental Bureau, uno dei partner della campagna per il Diritto alla Riparazione, calcola che il 72% dell’impatto di uno smartphone sull’ambiente avvenga prima dell’acquisto e una volta dismesso.
Usare lo smartphone il più a lungo possibile è quindi il modo migliore per ridurre il suo impatto ambientale. Secondo la stima di Eeb, prolungare la vita di ciascuno smartphone attualmente in uso in Europa di un anno permetterebbe di risparmiare 2,1 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, l’equivalente di un milione di automobile in meno in circolazione.
Il Progetto Restart, inoltre, mantiene una base dati aggiornata delle riparazioni effettuate dai gruppi Restarters in giro per l’Europa. Le più di 8.000 riparazioni effettuate hanno permesso di evitare l’aggiunta di 22 tonnellate alla montagna di rifiuti elettrici ed elettronici, come pure emissioni di CO2 pari a quasi 335 tonnellate.
articolo realizzato da Sergio Almerares, Francesco Cara, Savino Curci e Donatella Pavan