I dolcificanti proteici potrebbero rappresentare la nuova frontiera della dolcificazione anche se permangono dubbi sulla loro affidabilità perché vengono prodotti attraverso l’ingegneria genetica. In questo articolo cerchiamo di conoscerli meglio e di capirne pro e contro
L’uso di dolcificanti alternativi al più comune saccarosio risale a tempi antichi; Plinio, per esempio, si lamentava di quanto fosse difficile trovare a Roma del vino genuino, in quanto i produttori spesso lo addolcivano con acetato di piombo, detto anche zucchero di Saturno (Saccharum Saturni).
Si trattava di un composto dolciastro, ottenuto facendo bollire il mosto in pentoloni di piombo: un prodotto altamente tossico al quale è attribuito da alcuni storici la base della demenza di molti imperatori e, addirittura, è citato concausa della caduta dell’impero romano.
Attualmente la ricerca di dolcificanti proteici alternativi è volta soprattutto a prevenire e/o correggere stati patologici quali carie dentale, intolleranza al glucosio, diabete mellito, dislipidemie, ipertensione e obesità.
Da notare come in natura esistano vari edulcoranti naturali. Si conoscono soprattutto quelli a base di carboidrati, come il miele o lo zucchero di cocco che, pur presentando un profilo nutrizionale più soddisfacente rispetto al saccarosio, presentano un carico glicemico importante.
In natura, però, esistono anche dolcificanti proteici che non stimolano la produzione di insulina; essi hanno un potere dolcificante molto elevato rispetto al classico saccarosio o al fruttosio e, quindi, possono essere usati in caso di diabete o di diete ipocaloriche.
Dolcificanti proteici: cosa sono e dove si trovano
In genere queste proteine dolcificanti si trovano nei frutti di alcune piante tropicali della foresta pluviale, di cui le popolazioni indigene si servono da sempre per dolcificare i propri alimenti.
Le piante hanno sviluppato la caratteristica di produrre queste proteine allo scopo di rendere i propri frutti più appetibili per gli animali selvatici (inclusi i primati) e ottenere una più efficiente dispersione dei propri semi attraverso le loro feci.
A oggi, si conoscono sei proteine vegetali dolcificanti: taumatina, monellina, mabinilina, pentadina, brazzeina e curculina.
Una settima proteina è la miracolina, che viene considerata più che altro una molecola in grado di modificare in senso dolce l’aroma degli alimenti, ovvero una proteina propriamente definita modificatrice dell’aroma.
La taumatina
Si tratta di una proteina molto dolce presente nei frutti della pianta tropicale Thaumatococcus daniellii, che cresce nelle foreste pluviali dell’Africa Occidentale.
È stata la prima proteina a essere scoperta e ha un potere dolcificante 3.000 volte superiore a quello del saccarosio.
Immessa in commercio nel 1983, viene utilizzata nelle gomme da masticare e come eccipiente nei prodotti farmaceutici, soprattutto in Giappone.
La monellina
Si trova nelle bacche rosse di una pianta dell’Africa Occidentale, la Dioscoreophyllum cumminsii.
Scoperta nel 1969 ha un potere dolcificante 1.500-2.000 volte superiore al saccarosio, viene percepita di sapore dolce dall’uomo e alcuni primati, ma non dagli altri mammiferi.
La temperatura superiore ai 50 gradi fa perdere dolcezza alla molecola, che quindi non può essere usata in cibi elaborati e cotti ma è invece possibile scioglierla in bevande, in quanto è solubile in acqua. Il suo uso è approvato soltanto in Giappone.
La mabinilina
La pianta cinese Capparis masaikai produce frutti che contengono quattro proteine dolcificanti, di cui quella più studiata è la mabinilina, che è circa 100 volte più dolce del saccarosio.
La proteina ha un’elevata stabilità al calore e, quindi, maggiori possibilità di essere utilizzata come dolcificante rispetto alla monellina.
La pentadina e la brazeina
La Pentadiplandra brazzeana è un arbusto rampicante presente in alcune regioni dell’Africa tropicale e, contiene due differenti proteine pentadina e brazeina.
La prima ha un potere dolcificante 500 volte superiore a quello del saccarosio, mancano purtroppo altri dati su questa molecola.
La brazeina è da 500 a 2.000 volte più dolce del saccarosio, molto solubile in acqua, ha un gusto molto simile al saccarosio ed è resistente al calore.
La curculina
Isolata nella pianta Curculigo latifolia che cresce in alcune zone della Malaysia, la curculina è circa 550 volte più dolce del saccarosio e viene anche considerata un modificatote dell’aroma, avendo la capacità di convertire il sapore acido in dolce.
È poco stabile al calore, ma ha una buona solubilità in acqua ed è quindi utilizzabile in bevande fresche. Anche per la curculina l’utilizzo è approvato solo in Giappone.
La miracolina
Le bacche rosse di Synsepalum dulcificum (anche detta Richadella dulcifera), pianta originaria dell’Africa occidentale contengono la proteina modificatrice dell’aroma chiamata miracolina.
Si tratta di una proteina insapore; il frutto a forma di oliva che la contiene è utilizzato dalle popolazioni native per modificare il sapore dei cibi acidi.
Il suo meccanismo d’azione, in parole semplici, consiste nell’ingannare i recettori del sapore dolce presenti sulla lingua e far si che, per esempio il limone, assuma un sapore dolce.
L’effetto dura per un certo lasso di tempo e poi svanisce. Nonostante la percezione che il sapore cambi, la miracolina non modifica in alcun modo le strutture chimiche dell’alimento consumato, per questo motivo c’è il rischio di introdurre grandi quantità di cibi acidi, che possono causare problemi alle mucose, senza accorgersene.
Il potere edulcorante della miracolina è circa 5.600 volte superiore a quello del saccarosio, è priva di retrogusti e crea nella bocca un sapore acidulo molto gradevole.
In Giappone l’utilizzo della molecola è autorizzato e la polpa della frutta viene venduta liofilizzata sotto forma di compresse o tavolette.
Il suo uso non è consentito, invece, nell’Unione Europea e negli Stati Uniti in quanto, non vi sono prove sufficienti per considerarla sicura.
Come si ottengono i dolcificanti proteici
Da un punto di vista tecnico, l’estrazione delle suddette proteine dolcificanti vegetali, dalla loro fonte naturale, resta un’operazione molto complessa e la quantità estratta potrebbe non essere sufficiente per coprire le costanti richieste del mercato.
Questo limite però, è stato superato con sistemi di ingegneria genetica che utilizza vegetali o microrganismi geneticamente modificati per produrle.
Ciò pone, per tali dolcificanti gli stessi problemi emersi per tutti quei prodotti da considerarsi transgenici e, soprattutto, ci interroga: il consumatore sarà davvero in grado di accettare l’origine transgenica pur di dolcificare la propria bevanda o cibo preferito?