Dai laboratori di ricerca del Politecnico di Torino e dell’Università di Torino, tre progetti di giovani ricercatori per ridurre l’impatto ambientale con energie rinnovabili e studi sulle nanoplastiche
Torino si porta a casa – tra Politecnico e Università Statale – più di 4,5 milioni di euro vincendo tre Starting Grants per l’anno 2020, assegnati dall’European Research Council (Erc), organismo dell’Unione Europea che attraverso finanziamenti competitivi sostiene l’eccellenza scientifica.
SuN2rise del Politecnico di Torino
C’è un nuovo modo per produrre ammoniaca e fertilizzanti a basso impatto ambientale. Lo ha ideato Federico Bella, ricercatore del Politecnico di Torino partendo dall’aria atmosferica e sfruttando l’energia del sole, ridisegnando così uno dei processi chimici più costosi e inquinanti del Pianeta.
Per questo progetto – denominato SuN2rise (Solar driven electrochemical nitrogen fixation for ammonia refinery) – Bella si è aggiudicato un finanziamento di circa 1,5 milioni di euro attraverso l’Erc Grant, iniziativa dell’Unione Europea che ogni anno seleziona e finanzia progetti degni di innovazione, altamente ambiziosi, pionieristici e non convenzionali.
Sostanzialmente, Bella punta ad abbinare la produzione di elettricità da fotovoltaico alla conversione dell’azoto atmosferico in ammoniaca, composto alla base dei fertilizzanti in agricoltura.
Il tutto avviene attraverso la realizzazione di un dispositivo integrato che combina celle fotovoltaiche ibride a sistemi di conversione dell’aria in ammoniaca.
Quest’ultima rappresenta uno dei prodotti chimici più utilizzati al mondo, in particolare come fertilizzante, ma il suo processo di sintesi richiede condizioni sperimentali estremamente critiche in termini di elevate temperatura e pressione.
Il processo proposto dal progetto prevede tre elementi caratterizzanti: ossia provocare la rottura e la conversione della molecola di azoto, una delle più stabili esistenti in natura.
Il gruppo di lavoro svilupperà elettrocatalizzatori nanostrutturati in grado di destabilizzare la molecola di azoto, sistemi polimerici per la conduzione degli ioni litio e rigenerazione di questo metallo (noto per la sua capacità di reagire con l’azoto) e reattori elettrochimici su scala di laboratorio per condurre il processo.
Il progetto sarà realizzato presso i laboratori del Gruppo di Elettrochimica del Disat, strutture all’avanguardia per le tematiche legate ai temi delle batterie, del fotovoltaico e dell’elettrocatalisi.
L’approccio del progetto SuN2rise presenta tre vantaggi rispetto all’attuale processo di produzione dell’ammoniaca.
In primo luogo, la reazione elettrochimica avviene in condizioni blande e senza l’emissione di CO2. Poi, l’energia richiesta dal processo è fornita da celle solari ibride (a base perovskite o colorante), la cui peculiarità di essere preparabili su supporti di vetro ne consentirà l’utilizzo direttamente come involucro del reattore stesso, garantendo un’ottima integrazione.
Infine, tale processo è realizzabile ed esportabile ovunque, anche in aree remote: considerato il fatto che l’ammoniaca è la base della maggior parte dei fertilizzanti, il processo SuN2rise consentirebbe di produrli direttamente nelle aziende agricole, evitando così lo stoccaggio di tali prodotti (uno dei quali, il nitrato di ammonio, ha recentemente dimostrato la sua pericolosità se stoccato in ampie quantità e in aree urbane, come avvenuto a Beirut).
Il progetto CO2Cap
Lo stesso Grant europeo e la stessa cifra hanno premiato anche Andrea Lamberti che permette di recuperare energia dalla produzione di CO2.
Con CO2Cap (il progetto di Lamberti per esteso prende il nome di Energy harvesting from CO2 emission exploiting ionic liquid-based Capacitive mixing) propone di recuperare energia dalla produzione di CO2 attraverso l’impiego di liquidi ionici sviluppati ad hoc per assorbire l’anidride carbonica, con il vantaggio rispetto ai metodi tradizionali di essere molto meno inquinanti.
La ricerca di Lamberti si è concentrata negli ultimi anni su due tematiche che sono confluite nel progetto: da un lato le nanotecnologie e i nanomateriali per l’energia e dall’altro lo stoccaggio dell’energia attraverso supercondensatori, una sorta di batterie che accumulano energia, pur basandosi su un principio differente rispetto a quello delle classiche batterie.
Una tecnologia molto efficace proprio nell’ambito dei supercondensatori è legata all’impiego di liquidi ionici, cioè sali liquidi a temperatura ambiente.
Questi sali possono essere sviluppati ad hoc per assorbire la CO2, con il vantaggio rispetto ai metodi tradizionali di essere molto meno inquinanti.
A differenza di una semplice batteria ricaricabile, però, i dispositivi pensati nell’ambito del progetto CO2CaP non solo assorbiranno l’anidride carbonica, ma nel corso del processo caricheranno gli elettrodi di un supercondensatore, recuperando quindi energia, attraverso un meccanismo detto miscelazione capacitiva (CapMix).
Tale processo implica che quando si miscelano due soluzioni che contengono al loro interno CO2 assorbita con diversa concentrazione si libera energia, che potrà essere recuperata grazie a CO2CaP.
Ma il progetto CO2CaP, oltre al vantaggio energetico, propone anche un altro vantaggio: la possibilità di recuperare CO2 pura alla fine del processo, rispetto alle tradizionali emissioni non trattate, che vedono la CO2 miscelata all’aria e ad altre sostanze di scarto, in una forma che quindi è difficilmente reimpiegabile.
La CO2 pura può essere invece impiegata per produrre reagenti chimici di origine industriale e carburanti. La tecnologia potrebbe essere impiegata per l’assorbimento della CO2 prodotta a livello industriale, che rappresenta una percentuale molto consistente dell’inquinamento atmosferico complessivo.
Bella e Lamberti lavorano all’interno del Dipartimento Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico di Torino. L’ateneo torinese sta puntando molto sulla presentazione di progetti e ricerche per gli Erc Grants: attualmente il Politecnico può contare 20 progetti finanziati con 24 milioni di euro.
Il progetto dell’Università di Torino
L’Università di Torino, invece, grazie alle ricerche di Monica Passananti, ricercatrice del Dipartimento di Chimica e docente di chimica ambientale, ha ottenuto un finanziamento di 1.624.751 euro per i prossimi 5 anni grazie a un progetto che studierà l’impatto delle nanoplastiche sull’ambiente determinando come queste possano interagire con le componenti abiotiche nell’acqua marina e nell’atmosfera e come possano modificare con i processi naturali.
Ancora poco si conosce su come agiscono le nanoplastiche nell’ambiente e la loro presenza negli oceani è stata dimostrata solo di recente, pertanto i rischi ambientali e sanitari non sono ancora definiti.
A causa della piccola dimensione e della grande superficie esposta su cui si dispongono, le interazioni delle nanoplastiche con le specie chimiche e le forme di vita presenti in natura, possono essere significativamente differenti rispetto ai detriti più grandi.
Il progetto, che si svilupperà in cinque anni, si svolgerà presso l’Università di Torino e l’Università di Helsinki in Finlandia e si avvarrà di esperimenti di laboratorio per determinare cosa producono le nanoplastiche, quando reagiscono con la luce solare e le specie chimiche in acqua di mare e nell’atmosfera.
Svilupperà una procedura di raccolta e analisi, attraverso la spettrometria di massa e tecniche di misurazione degli aerosol, un passo cruciale per analizzare quanto le nanoplastiche siano presenti nell’ambiente.
Infine, valuterà il loro potenziale impatto sui processi fotochimici naturali, sugli scambi mare-atmosfera e sul ciclo del carbonio.