Pochi settori sono attenti ai cambiamenti climatici come quello agricolo, dato che le variazioni di temperatura e dei regimi delle piogge influenzano direttamente la produttività delle colture. Sono sempre più numerose le iniziative che puntano a migliorare la resilienza dell’agroalimentare, che anche nel 2020 ha dato un contributo importante alla sostenibilità del nostro Paese
La gara si decide sul filo dei centesimi: per l’Italia il 2020 è stato il quarto anno più caldo dopo il 2019, il 2018 e il 2015, ma con un’anomalia, rispetto al periodo di riferimento, di 0,85°C, quasi doppia rispetto a quella globale.
Le analisi sono infatti concordi nell’individuare nel Mediterraneo uno degli hot spot del cambiamento climatico, con un riscaldamento più deciso di quello medio globale, e una riduzione delle precipitazioni che contrasta con l’aumento generale dei cicli idrologici.
Secondo le proiezioni, queste variazioni avranno impatti diretti sull’agricoltura e l’allevamento degli animali, determinando con ogni probabilità una diminuzione complessiva delle rese e lo spostamento degli areali di coltivazione verso le aree settentrionali.
Anche gli eventi meteo estremi incideranno sulla produttività agricola, con siccità, ondate di calore o gelate durante fasi dello sviluppo delle piante.
Proprio per mitigare gli impatti sull’agricoltura dei cambiamenti climatici nel Mediterraneo, è stato avviato Prima, un programma finanziato da Horizon 2020 a cui partecipano 19 paesi che si affacciano sulle sponde del Mare Nostrum.
Il programma ha recentemente premiato con un finanziamento da 380.000 euro il progetto Change-up, sviluppato dall’Università di Parma e focalizzato su agroecologia e sostenibilità nell’area mediterranea.
Il progetto, a cui partecipano anche Francia, Algeria, Tunisia e Marocco, punta a individuare sistemi di coltivazione per i cereali più resistenti agli eventi estremi, in particolare alle siccità e alle temperature elevate.
Uno dei tasselli fondamentali è la rotazione delle colture, con un’alternanza tra cereali, leguminose e grani perenni (in grado cioè di crescere autonomamente per alcuni anni dopo la prima semina).
Change-up presta poi particolare attenzione alle realtà delle popolazioni coinvolte, che spesso devono affrontare povertà e migrazioni forzate, e tiene conto delle catene del valore e delle politiche agricole dei vari paesi partecipanti.
Il nostro Paese si conferma uno dei più attivi nella promozione di un’agricoltura che, in linea con la strategia Farm to Fork elaborata dalla Commissione europea nell’ambito del Green Deal, sia rispettosa dell’ambiente ed equa lungo tutta la filiera, garantendo nel contempo sostenibilità economica e posti di lavoro.
In effetti, dai dati presentati nel rapporto L’agricoltura italiana Conta 2020, elaborato dal Crea, risulta chiaro che l’attenzione per l’ambiente è uno dei cardini attorno a cui ruota il sistema agroalimentare italiano.
Che, pur essendo stato colpito duramente dal Covid, ha dato prova di una notevole resilienza facendo segnare numeri in controtendenza, sia nel valore delle produzioni sia nel numero di occupati.
Molto importante anche il contributo dell’export, con i 3/4 circa rappresentati da prodotti Made in Italy, e vitale per la dinamicità del settore è stata la diversificazione del business: sempre più aziende affiancano alle attività tradizionali le operazioni di prima lavorazione dei prodotti, l’acquacoltura, l’agriturismo e le fattorie didattiche, sfruttano energie rinnovabili e lavorano nel settore dell’artigianato.
L’agroalimentare si conferma uno degli elementi fondamentali della bioeconomia del nostro paese: l’agricoltura e l’alimentare hanno pesato per oltre il 60% sul fatturato, stimato in oltre 324 miliardi di euro, di tutte quelle attività che usano risorse biologiche rinnovabili per produrre materiali, energia e servizi.
Resta ancora elevata incidenza degli sprechi alimentari, con perdite che si aggirano intorno ai 10 miliardi di euro, ma il rapporto sottolinea anche il fiorire di iniziative di solidarietà.
Nei mesi della pandemia, amministrazioni, Gdo e associazioni si sono infatti impegnate per recuperare e distribuire gli alimenti che altrimenti sarebbero andati sprecati.
Grazie poi alla diffusione delle pratiche biologiche e di agricoltura conservativa, le emissioni delle coltivazioni si sono ridotte e, nel contempo, è cresciuto il sequestro nei suoli della CO2 atmosferica.
Una conferma del ruolo di primo piano dell’agroalimentare nella lotta ai cambiamenti climatici.
(testo a cura di Simone Gandelli)