Con l’acronimo Epr – extended producer responsibility – si indica la responsabilità estesa del produttore nei confronti del fine vita del suo prodotto. E quindi…
La responsabilità estesa del produttore (Epr), disciplinata a livello europeo (Direttiva 2018/851) e italiano (D.Lgs 116/2020), rappresenta, nelle sue intenzioni, uno dei pilastri fondamentali dell’economia circolare, con un’attenzione ben specifica alla gestione dei rifiuti e alla responsabilità di colui che produce il bene stesso.
Il D.Lgs 152/2006 aveva già introdotto la nozione di rifiuto come “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nell’allegato A alla parte quarta di cui al presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi“.
Secondo questo principio, chi genera il rifiuto (tipicamente il consumatore del bene) è tenuto a smaltirlo secondo le previsioni previste dalla legge.
Con la responsabilità estesa del produttore si fa un passo in più, o meglio, si fa un passo indietro nel processo produttivo, assegnando la responsabilità, finanziaria e organizzativa, della gestione della fase del ciclo vita in cui il prodotto diventa rifiuto, al produttore stesso del bene.
Il campo d’azione dell’Epr tocca aspetti quali l’informativa verso il pubblico circa la riutilizzabilità e la riciclabilità del prodotto, l’adozione di programmi di prevenzione dei rifiuti, il miglioramento del disegno e della progettazione del prodotto per favorirne la durabilità, la riutilizzabilità, la riparabilità e la riciclabilità.
La responsabilità estesa del produttore incoraggia anche un passaggio metodologico fondamentale al giorno d’oggi: far in modo che il produttore, già nella fase di creazione e ideazione, concepisca il prodotto in ottica di “recycling and reusability by design“, favorendo così la diffusione del modello di economia circolare.
Nella concezione di un moderno sistema di compliance, la normativa prevede inoltre, nei confronti del produttore, obblighi di raggiungimento di obiettivi minimi di riciclaggio del bene entro un orizzonte di tempo definito, con il rischio di ricorrere in sanzioni in caso di mancato rispetto dei requisiti espressi dalla legge.
Le attività di gestione delle fasi di raccolta, riciclo e riutilizzo del bene sono normalmente svolte da sistemi collettivi o da società appositamente costituite per assolvere a questo scopo: un esempio a tutti noto è quello dei consorzi per la gestione dei Raee, i rifiuti generati dalle apparecchiature elettriche ed elettroniche (smartphone e simili).
Dal punto di vista economico, ai produttori viene solitamente chiesto un contributo finanziario alla struttura dei costi; tale contributo viene riscosso al momento della vendita del bene e deve essere evidenziato in maniera separata rispetto al prezzo di cessione del bene stesso, in modo da garantire la trasparenza, anche informativa.
Dal momento che il contributo viene riscosso al momento della vendita del prodotto, deve essere quantificato in modo da non disincentivare l’acquisto del bene stesso; al produttore, quindi, viene richiesto uno sforzo di analisi e di valutazione del ciclo vita del bene nel suo complesso per identificare soluzioni che permettano di ridurre i costi di gestione dei rifiuti e di favorire le attività di recupero e di riciclo.
In questa prospettiva, l’Epr presenta interessanti opportunità di innovazione di processo e di scelta di materiali alternativi, oltre ovviamente a favorire lo sviluppo del mercato del riciclo.
L’Unione Europea al momento non stabilisce un modello unico di responsabilità estesa del produttore, lasciando così alcuni spazi di autonomia agli stati membri; se pensiamo infatti alle tre direttive che impongono l’Epr (veicoli fuori uso, Raee e batterie), ogni stato membro dell’Unione ha definito le proprie modalità operative e, in alcuni casi, è arrivato a estendere tale reponsabilità ad altri settori (imballaggi, medicinali, pneumatici fuori uso, carta grafica, oli, teli agricoli) – qui una vision complessiva dello stato dell’arte dell’Epr nei singoli paesi dell’UE.
Ovviamente, questa diversità di trattamento, che risente anche dei modelli di mercato dei singoli stati, delle abitudini e stili di vita dei consumatori, dell’impianto dei sistemi fiscali e degli ordinamenti normativi, produce risultati differenti e non sempre facilmente confrontabili.
Uno studio condotto dalla Commissione europea ha messo a confronto i costi rilevati per lo smaltimento e il riciclo dei prodotti sotto Epr con i risultati ottenuti, evidenziando che i sistemi più performanti non sono necessariamente i più costosi; dal punto di vista della Sostenibilità e della politica ambientale, questa è sicuramente una buona notizia.
Tra i punti di attenzione resta la definizione del modello di attribuzione del costo, che deve rispettare i criteri di trasparenza nei confronti dei consumatori e di equilibrio di mercato, senza essere addossato alla collettività; l’Epr deve infatti continuare a essere uno stimolo per i produttori e le loro capacità di innovazione di processo e di utilizzo di materie prime.