I negozi, Gdo in testa, sono veri e propri Sustainability trigger in grado di influenzare positivamente i processi di produzione, trasformazione e distribuzione. E il cliente che fa? Spesso… disperde
Anche se la Commissione internazionale di stratigrafia non si è pronunciata in maniera definitiva e si discute ancora se l’Antropocene sia effettivamente un’epoca geologica, ci sono pochi dubbi sul fatto che i geologi del futuro non faticheranno a individuare le tracce di quelle attività a cui la nostra specie ha impresso una fortissima accelerazione negli ultimi cinquant’anni.
Nelle rocce che esamineranno troveranno di sicuro isotopi radioattivi assenti in natura e creati dalle esplosioni nucleari in atmosfera. E individueranno quasi certamente ossa di pollo: ogni anno ne consumiamo 65 miliardi di esemplari, solo che, mentre anche gli scarti della carne vengono processati per ottenere vari prodotti industriali, le ossa finiscono quasi tutte nelle discariche.
Ma, più di ogni altra cosa, troveranno frammenti, più o meno grandi, di plastica. In poco più di un secolo ne abbiamo prodotte quantità astronomiche, circa 8,3 miliardi di tonnellate.
Di questi, solo 2 miliardi di tonnellate sono stati riciclati. Il resto, semplicemente, è stato disperso, e non c’è ambiente, persino quelli più remoti, dalle vette dell’Himalaya alle fosse oceaniche, dai suoli al margine superiore della troposfera, che non sia stato contaminato.
La Gdo come sustainability trigger
Per fortuna, l’attenzione al fenomeno della diffusione delle plastiche è molto cresciuta negli ultimi anni, e anche in Italia si moltiplicano le iniziative che cercano di ridurre la quantità di plastica utilizzata e dispersa.
Oltre ad aziende, centri di ricerca e istituzioni, tra i protagonisti di questa tendenza c’è la Grande distribuzione organizzata (Gdo), che ha puntato con decisione sulla riduzione del packaging e sulla sua riciclabilità.
Nel 2019, secondo una ricerca dell’Osservatorio Immagino di Gs1 Italy, il peso del packaging derivato dagli acquisti di beni di largo consumo era di 3 milioni di tonnellate. Per avere un’idea un po’ più concreta, è come se in un anno ogni italiano si caricasse sulle spalle uno zaino con una cinquantina di chili di imballaggi.
Lo studio di Gs1 Italy ha analizzato anche il food e dai dati è emerso che solo una piccola frazione (poco più del 6%) di questi prodotti ha un packaging totalmente riciclabile, e tre su quattro non riportano alcuna indicazione su come effettuare un corretto smaltimento.
I margini di miglioramento sono quindi enormi, e si avvantaggiano di processi di innovazione sempre più accelerati e della diffusione dei concetti dell’economia circolare.
Dagli approcci progettuali più attenti al disassemblaggio e al riutilizzo ai tentativi di semplificare i materiali utilizzati, dalla riduzione degli spessori e delle dimensioni all’utilizzo di materiali di origine biologica o riciclati, dall’impiego di sensori ed etichette intelligenti fino all’uso della robotica e dell’intelligenza artificiale, la Gdo ha a disposizione sempre più strumenti per migliorare le proprie performance ambientali.
Che questa sia la direzione più promettente, anche per andare incontro a richieste sempre più pressanti dei consumatori è confermato anche da un’indagine elaborata da Altis – Università cattolica di Milano, da cui emerge che, su un campione di 27 brand rappresentativi del 97% della Gdo in Italia, uno su tre considera la sostenibilità come un driver per la crescita.
Certo, sono ancora numerosi (oltre un terzo) i marchi che vedono la sostenibilità principalmente come un obbligo da rispettare, ma i segnali sono incoraggianti.
Soprattutto perché nella Gdo l’attenzione alla sostenibilità si sta diffondendo lungo tutta la filiera e va ad aggiungersi alle tradizionali considerazioni relative al prezzo e alla percezione di qualità.
In questo modo, grazie al peso contrattuale delle sue imprese, la Gdo sta diventando un vero e proprio Sustainability trigger in grado di influenzare positivamente i processi di produzione, trasformazione e distribuzione e i rapporti con dipendenti e fornitori.
Questi processi, che stanno contribuendo a orientare il settore agrolimentare in direzione della sostenibilità, investono anche consumatori e comunità locali e si traducono sempre più di frequente anche in investimenti per abbattere i consumi di energia.
Sostenibilità e risparmio energetico nella Gdo
Aldi, parte del Gruppo Aldi Süd, multinazionale della Gdo, ha per esempio annunciato di voler tagliare di un quarto le proprie emissioni di CO2eq entro il 2025.
Per raggiungere questo obiettivo, sono stati installati nei punti vendita pannelli fotovoltaici, luci a Led e banchi frigo avanzati con refrigeranti naturali.
Inoltre, vengono utilizzati sistemi di recupero del calore prodotto dalle apparecchiature, ed è stato migliorato l’isolamento delle strutture di vendita per abbattere le richieste di energia per il riscaldamento e il raffrescamento.
Accanto alla Gdo, anche le piccole strutture di vendita guardano alla sostenibilità come mezzo per rispondere alla crisi causata dal Covid. È il caso di ZeroPerCento, il food market di Milano che ha aperto la sua seconda struttura di vendita.
Oltre a promuovere l’inserimento di disoccupati e di persone con disabilità, ZeroPerCento ha scelto per quanto possibile di vendere solo prodotti sfusi provenienti da aziende agricole e cooperative del territorio, che devono in ogni caso rispettare criteri etici e ambientali molto rigorosi.
L’attenzione alle categorie svantaggiate, le ricadute positive sull’economia locale e la filosofia zero imballaggi e chilometro zero (o comunque pochi), sono gli elementi di un approccio che dai soggetti più piccoli si sta estendendo anche ai grandi player della Gdo. Uniti insieme per combattere gli sprechi e ridurre l’inquinamento.
(testo redatto da Simone Gandelli)