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Vivere (bene) in un quarto d’ora

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la città dei 15 minuti
Foto di Herbstrose da Pixabay

Camminando, si percorrono in media 6 chilometri in un’ora. In quindici minuti, si arriva a circa un chilometro e mezzo. È questa la dimensione del nuovo modello di città, appunto la città dei 15 minuti. Con vantaggi per l’ambiente e le economie di prossimità

Spesso, guardando fuori dai finestrini di un aereo che sorvola il nostro paese, si possono vedere sequenze di nuclei abitati, più o meno grandi, collegati da strade che attraversano aree rurali, punteggiate di capannoni e altre infrastrutture.

Sono le manifestazioni di quella che viene chiamata dispersione urbana, la versione italiana del fenomeno altrimenti conosciuto come sprawl.

Al netto delle peculiarità riconducibili alla geografia e alla storia dei singoli paesi, con buona approssimazione si può dire che lo sprawl è l’espansione rapida e disordinata delle aree urbane a spese delle campagne.

Le cause sono molteplici: ci sono la crescita della popolazione (fattore che in Europa e in Italia in particolare pesa poco) e della ricchezza procapite, lo scarso valore dei terreni extraurbani che contrasta con i prezzi elevati delle superfici urbane, la presenza di strade e, elemento imprescindibile, la disponibilità di auto.

Si potrebbe infatti dire che lo sprawl è la manifestazione in cemento e asfalto del modello di società basato sull’automobile. E se fino agli anni Novanta questo modello ha rappresentato per molti la realizzazione di un sogno (di quello americano soprattutto), negli anni più recenti sono emerse con sempre più forza le sue criticità.

Consumo di suolo, inquinamento e cambiamenti climatici, individualismo esasperato e perdita di coesione e capitale sociale: tutti questi fattori sono stati amplificati da un modello urbanistico che ha come sua caratteristica principale la separazione e la distanza tra le varie funzioni e attività, da quelle amministrative a quelle economiche fino al residenziale.

Nel corso degli anni sono state proposte diverse misure per contenere la dispersione urbana, da politiche sugli incentivi a modifiche delle normative.

Tuttavia, almeno fino al Covid questi interventi non erano a incidere in profondità sulla situazione. La necessità di adeguare le realtà urbane alle nuove condizioni socio-economiche imposte dalla pandemia, insieme alla crescente attenzione alla tutela della biodiversità e agli impatti dei cambiamenti climatici, hanno però imposto un’accelerazione a queste tendenze.

La città dei 15 minuti, nuovo modello di sviluppo

La prima mossa l’ha fatta Parigi, con la Ville du quart d’heure, teorizzata da Carlos Moreno, docente della Sorbona, che punta a trasformare gli spazi urbani, tuttora monofunzionali, con il centro contornato da zone specializzate, in realtà policentriche, basate sulla prossimità, la diversità, la densità e l’ubiquità.

L’idea, condensata dal nome, è quella di avere luoghi in cui imparare, lavorare, fare la spesa, passeggiare, condividere creatività ed esperienze, fare volontariato, accedere alle cure mediche, fare sport e mangiare tutti nel raggio di 15 minuti a piedi.

Riducendo nel contempo lo spazio per le auto, che verrebbe riassegnato a pedoni, ciclisti ed esercizi commerciali e superando quella distinzione tra centro e periferia che tanti guasti ha provocato finora.

Proprio alle (nascenti) esperienza di città in 15 minuti a Parigi, Barcellona e Milano è dedicato Abitare la prossimità, l’ultimo libro di Ezio Manzini, pubblicato da Egea editore.

Manzini, esperto di design per la sostenibilità, individua nella città densa un’alternativa alle tendenze che sembrano preludere a un futuro di anomia e isolamento e indica tre ingredienti essenziali per giungere a questo obiettivo.

Come prima cosa occorre ricostruire le comunità, coniugando la pianificazione alla disseminazione di eventi e iniziative con cui le persone possono riprendere a incontrarsi, avviando vere conversazioni.

Serve poi un rinnovato senso di cura: Manzini descrive una città che, distaccandosi dal modello basato su individui e gruppi sempre efficienti e performanti che delega l’assistenza a operatori specializzati, ospita persone, organizzazioni e luoghi capaci di prendersi cura gli uni degli altri.

Infine, occorre sfruttare in modo intelligente le interfacce tra digitale e reale che sono parte integrante delle nostre vite: tornare indietro non è possibile, abbiamo però a disposizione strumenti e tecnologie che permettono di amplificare le caratteristiche migliori dell’essere comunità.

Quelle di cui abbiamo assolutamente bisogno per vincere le sfide sociali e ambientali che abbiamo davanti.

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