Le green communities, la gestione forestale sostenibile, un nuovo modello di gestione delle risorse naturali, sussidiario: sono i tre pilastri di una strategia per le montagne cui Marco Bussone, presidente Uncem chiede di prestare la massima attenzione.
Lo ha ribadito anche in questi giorni a Edolo, nel quadro di un convegno sul futuro della montagna. Perché 54% di territorio montano vogliono dire 16 punti di Pil e 10 milioni di abitanti.
“Senza retorica e luoghi comuni – è la linea di Bussone – quella dei borghi dei gerani e delle case a un euro, investire risorse deve essere conseguente a una visione di Paese. Vi è la necessità di integrare le strategie per le aree interne per le montagne e di rendere i Comuni più forti e capaci di lavorare insieme grazie a un nuovo assetto istituzionale che favorisca l’interazione e superi le frammentazione.
Nel Piano nazionale di ripresa resilienza vi sono importanti componenti per le aree montane a partire dai 300 milioni su euro per le strade, 2 miliardi contro il dissesto idrogeologico, 8 miliardi per il 5G e la banda ultralarga, 1 miliardo di euro per i borghi, 140 milioni per le green communities.
Queste risorse si spendono se il Paese ha una strategia e al ministro Gelmini abbiamo confermato l’impegno come Uncem, per evitare che si vada verso nuova burocrazia, o delle misere illusioni di investimenti“.
Ed è proprio Marco Bussone l’interlocutore di questa intervista che indaga su come ripopolare un borgo. Luoghi affascinanti, ma difficili sotto molti punti di vista.
Dunque, Bussone: da dove incominciare?
I borghi delle Alpi e degli Appennini sono pieni di “vuoti”. Non sono abbandonati. Hanno immobili disabitati, spazi che possono tornare a vivere. C’è una forte attenzione per questi luoghi, per i paesi delle zone rurali e montane del Paese.
Dobbiamo dunque riuscire a far incontrare la domanda con l’offerta, in primo luogo di case. Che poi si possono riqualificare, anche grazie ai bonus edilizio. Chi si trasferisce può telelavorare, verso ogni parte del mondo.
Ma è l’agricoltura, la rigenerazione dei versanti che tiene in vita i borghi e i territori montani, il 54% dell’Italia. Chi si trasferisce può creare impresa, una startup. Turismo e agricoltura sono storici pilastri dell’economia.
Ma per chi vive in un borgo, per chi vuole andarci a vivere, servono servizi. Scuola, trasporti, sanità, welfare. Non uno senza l’altro. Sono necessari. Ancora, un borgo è tale se ha luoghi dove riconoscerci.
Può non esserci un negozio e in Italia 200 Comuni sono commercialmente desertificati. Ma un bar è un ancoraggio. È il punto di ritrovo della comunità. Un borgo è tale non perché ha un Municipio, perché è un Comune. Ma perché è comunità.
Quali sono dal vostro punto di viste le tecnologie che non possono mancare?
Banda ultralarga, tv che si vede con il digitale terrestre, telefoni mobili che funzionano. Tre fronti necessari. Ma dico sempre che sono tre aspetti che devono essere visti e pianificati insieme.
Un lavoro che devono fare le istituzioni. Con la consapevolezza che se anche non vi è la fibra ottica che arriva a tutte le case, sempre più per avere una connessione a Internet a una buona velocità vi sono tecnologie senza fili, Fwa.
Nell’ultimo anno e mezzo sono state decisive. Internet deve veicolare intrattenimento, opportunità, ma soprattutto servizi pubblici, nuove soluzioni per essere cittadini italiani in un borgo come altrove.
Quali borghi si possono prendere come esempio?
Penso a Ostana, laboratorio alpino per eccellenza, che era un borgo morto, con 5 abitanti nel dopoguerra. Erano 1.200 nell’Ottocento. Ora il paese è tornato a vivere con una serie di importanti investimenti pubblici e privati. È un luogo dove si sperimenta cosa vuol dire la comunità viva.
Sauris, in Friuli Venezia Giulia, rinato dopo il terremoto, centro propulsivo che con le imprese che ha è una forza di sviluppo a partire dai prodotti endogeni del territorio, in cui storia e tradizioni si incrociano con la modernità e un importante flusso turistico.
Castelnono Ne’ Monti, nell’Appennino Reggiano, che insieme a Succiso, Cerreto Alpi e ad altri piccoli borghi di quel versanti è diventato il cuore pulsante di un percorso ormai nazionale legato alla nascita e alla crescita di cooperative di comunità, nuove forme di impresa che ridanno vita ai luoghi. Che generano reddito, tenendo fisso lo sguardo sulle comunità appunto.
Finale Ligure, sul mare, direte. È vero. Ma ha saputo nel borgo costruire un’offerta per la pratica outdoor che richiama turisti tutto l’anno, appassionati di sport, da tutto il mondo. Il versante montano è stato attrezzato e si praticano tutti gli sport.
Così destagionalizza il turismo, con un sistema economico vivace, negozi monomarca di attrezzatura sportiva, una vitalità a Finalborgo che è affascinante anche per quelle case a trecento metri dal mare che erano dei pescatori.
Fontecchio, a pochi chilometri da L’Aquila, dove si sta completando la ricostruzione e una serie di giovani sta proseguendo un percorso di rivitalizzazione delle attività oltre che delle case. Con un museo del terremoto che è una delle cose più suggestive ed emozionanti che ho visto in dieci anni.
Potrei andare avanti per cento righe. E mille borghi. In realtà in Italia calcolare quanti siano è impossibile. Sono tanti, ben oltre i 7.900 Comuni italiani, di cui 5.500 con meno di 5.000 abitanti. Sono moltissimi i borghi perché molti sono frazioni di quegli stessi Comuni, sparse sui versanti, frammentati e tutti con loro storie e tradizioni. Che pian piano tornano a vivere.
Cosa evitare per far sì che un borgo non sia più abbandonato e viva lunga vita d’ora in poi?
Il Paese, le Istituzioni, devono sempre più guardare a come è fatta l’Italia vera. Tolte le città e le aree urbane, oltre l’85 per cento è rurale, agricolo, montano, interno.
È tutto questo. E servono specifiche politiche per salvaguardare i servizi, incentivare anche con fiscalità peculiare le imprese e la residenza, per positive strategie. Penso per esempio a quanto si sta facendo con la Strategia nazionale per le Aree montane e interne del Paese, o alla Strategia delle Green communities.
Ci sono te leggi importanti che raccontano questo cambio di paradigma in corso, per un Paese che per troppi decenni ha guardato solo alle aree urbane. La legge 158 sui piccoli Comuni, la legge 221 sulla green economy, il testo unico forestale, per valorizzare 11 milioni di ettari di bosco, un terzo d’Italia.
Sono queste le cornici per investimenti e scelte, a partire dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza e dalla nuova programmazione comunitaria. Che incrociano questi temi e li rilanciano.
Occorre fare di più. E i corpi intermedi come Uncem devono stimolare processi nuovi di valorizzazione, nei quali si incrociano Enti pubblici, imprese, terzo settore, università.
In generale, perché i borghi secondo il vostro parere vanno recuperati e cosa chiedete che si faccia perchè ciò avvenga?
Perché sono già in quella transizione ecologica di cui tanto si parla. O ancora, sono nel Green New Deal Europeo e possono essere rigenerati secondo le logiche del New Bauhaus del quale ha parlato più volte la Presidente Ursula Von der Layen.
Sono un patrimonio immenso di cultura e luoghi che rischiamo di perdere. Lo spopolamento dai territori montani non si è fermato. Ma il trend in molti pezzi d’Italia si sta invertendo.
C’è una crescente attenzione delle famiglie per la vita in nuovi spazi, diversi da quelli urbani. Ma attenzione. Per parlare dei borghi guai a chiamarli paesini, a fare facile retorica, a dire che lì si vive bene.
Perché lì vive bene chi capisce e sceglie quei luoghi, chi li vuole veramente. La città ha i suoi spazi, molto diversi. Cambiare vita, come a volte diciamo, non è semplice. E le condizioni di vivibilità dei borghi e dei territori montani in particolari non sono semplici.
Io prima di tutto lavoro con Uncem per consentire a chi già li vive di poterlo fare. A quell’allevatore che lotta con regole un po’ assurde, da cambiare. A quell’agricoltore che contrasta cinghiali e aumento del bosco che mangia il suo prato.
A quella famiglia che ha due bambini che devono andare al nido e devono fare ogni giorno venti chilometri a scendere e venti poi a salire. All’universitario che per frequentare le lezioni o dare un esame deve svegliarsi alle cinque.
O anche a liceale che dopo cinque ore di lezione, cambiati tre pullman torna alla sua casa nel borgo alle quattro del pomeriggio. A loro guardiamo, per loro lavoriamo. Per chi già li vive e per chi vorrebbe viverci.
I borghi recuperati e da rivitalizzare non sono riserve indiane. Non lo sono oggi e non devono diventarlo. Sono luoghi aperti, nelle Alpi aperte, sono paesi in dialogo lungo una valle appenninica o alpina, in relazione con le città.
Ecco su cosa dobbiamo lavorare. Sul dialogo e sulle relazioni, che di fatto sono democrazia. A vantaggio non dei borghi. Ma del Paese.