Se è vero che nel nostro Paese in molti mangiano ancora troppo e male, sono sempre più diffusi gli alimenti e gli integratori che possono contribuire a migliorare la nostra salute, fisica e mentale. Con l’ulteriore vantaggio che spesso hanno anche delle ricadute positive sulla sostenibilità.
Anche se è stato registrato per la prima volta nel 1989, è solo a partire dai primi anni del XXI secolo che si è diffuso l’impiego del termine nutraceutico, dalla fusione tra nutrizione e farmaceutica.
I nutraceutici sono sostanze capaci di svolgere e supportare funzioni fisiologiche, che sono ricavate da piante, microrganismi e alimenti e che possono essere assunte o direttamente con il cibo o in forma di compresse, fiale e integratori solubili.
Trainato dall’invecchiamento della popolazione, dalla ricerca di cibo di qualità migliore e dalla diffusione di atteggiamenti di sfiducia nei confronti dei farmaci, il mercato dei nutraceutici vale ormai nel mondo oltre 500 miliardi di dollari e si prevede che nel giro di cinque anni sfiorerà i 750 miliardi, con un tasso di crescita di quasi il 7% annuo.
È quanto emerge da Nutraceutica e novel food: tra salute e sostenibilità, una ricerca condotta dall’Area studi Mediobanca che ha esaminato, da una prospettiva globale, un mercato in cui rientrano gli integratori alimentari, i cibi vegan, quelli specifici per l’infanzia, gli alimenti funzionali (sia quelli senza zucchero, glutine o lattosio, per citare i più famosi, sia quelli arricchiti con vitamine o minerali), ma anche la carne sintetica e le farine da insetti.
Più nel dettaglio, il comparto del cibo per il controllo del peso valeva nel 2020 214 miliardi di dollari (303 nel 2027), quello degli integratori alimentari oltre 150 miliardi di dollari (237 entro il 2027), mentre il cibo per l’infanzia ha fatto registrare un volume d’affari di oltre 73 miliardi (107 entro il 2027).
Il cibo vegano conta per 25 miliardi di dollari (e si prevede che saranno 42 entro il 2027, con ritmo di crescita del +9% annuo, il più elevato tra tutti).
Nel 2020 la nutraceutica in Italia valeva circa 4,8 miliardi di euro, di cui 3,8 sono stati spesi per gli integratori alimentari. Numeri importanti anche per la nutrizione specializzata in senso stretto, con ulteriori 700 milioni (400 milioni solo gli alimenti per celiaci) e il cibo per bambini (300 milioni di euro nell’anno considerato dallo studio).
Molto interessanti, anche in una prospettiva di sostenibilità, sono gli sviluppi della carne sintetica, quella cioè prodotta in laboratorio. Nonostante i costi sono ancora troppo elevati per poter competere con la carne tradizionale, il rapporto dell’Area studi Mediobanca segnala che sono circa 100 le startup che stanno lavorando in questo settore e si stima che entro il 2030 la carne sintetica potrebbe costare come quella ottenuta dalla macellazione di animali vivi.
In realtà, i tempi si potrebbero anche comprimere, perché come detto la carne sintetica ha degli innegabili vantaggi in termini di riduzione delle emissioni di gas serra (fino all’87% in meno) e di consumo di suolo (95% in meno): con l’aggravarsi della crisi climatica questi fattori potrebbero diventare sempre più rilevanti e contribuire alla crescita di questo mercato e alla riduzione dei costi.
Così come potrebbero entrare nell’equazione il fatto che la carne sintetica non conterrebbe antibiotici o altri contaminanti e che potrebbe essere prodotta vicina ai luoghi di consumo, tagliando anche costi ed emissioni legati al trasporto.
E sebbene a molti potrà senz’altro sembrare strano, anche lo sfruttamento alimentare degli insetti è decisamente promettente in un’ottica di sostenibilità. Gli insetti infatti sono molto più efficienti nel convertire il mangime in aumento di peso: un vitello necessita di 25 chili di mangime per aumentare di un chilogrammo, un suino di 6,4 e un pollo di 3,3 chili, per un insetto il rapporto è di 2 chili di mangime per un chilo di peso.
La porzione edibile è parimenti elevata, può infatti arrivare al 100% nel caso delle larve, contro il 40% di un vitello e in più allevare insetti richiede molta meno superficie, meno acqua ed emette molti gas serra in meno.
Certo, rimangono da superare le perplessità culturali, ma che nei prossimi anni sarà obbligatorio innovare nell’agroalimentare è chiaro se si considerano i numeri: a oggi il settore food emette circa un terzo dei gas serra, è uno dei principali driver della deforestazione, del consumo di acqua dolce e contribuisce a modificare i cicli biogeochimici dell’azoto, del carbonio e del fosforo.
Uno dei settori su cui si sta concentrando la ricerca è quello delle alghe. Tra il 25 e il 27 di maggio si terrà a Pordenone AlgaeFarm, un evento dedicato alle tecnologie per l’alghicoltura, che farà il punto su un mercato che già oggi può vantare numeri interessanti: il volume d’affari globale sfiora il miliardo di dollari, con una stima di crescita del 5,2% annuo da qui al 2026. Le alghe più usate sono la spirulina e la clorella, soprattutto per gli impieghi in nutraceutica.
In Italia la domanda di microalghe sfiora le 200 tonnellate, per utilizzi in cosmetica, nutraceutica e mangimistica per i pesci e anche in questo caso, come per la carne sintetica e le farine da insetti, non va trascurato il potenziale delle alghe nel contrastare i cambiamenti climatici.
Le alghe, infatti, assorbono CO2 e secondo diversi studi la quantità che potrebbero sequestrare è superiore a quella delle piante.
La crescita del mercato dei nutraceutici si accompagna alla nascita di nuovi soggetti: VitaVi, piattaforma online per l’acquisto di integratori alimentari, ha presentato una serie di partnership con farmacie, parafarmacie e negozi alimentari specializzati.
L’obiettivo è rendere sempre più multicanale l’acquisto dei suoi integratori alimentari, per intercettare un trend di consumo che si è impennato durante la pandemia e che vede una parte importante degli acquisti effettuati in farmacia, ma una crescita forte dello shop online.
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