Per contrastare l’inquinamento da plastiche occorre potenziare le pratiche di economia circolare, puntare su materiali biodegradabili, progettare in vista del riciclo e rafforzare i sistemi di raccolta. E bisogna anche bloccare i rifiuti nei fiumi, che sono oggi il principale canale da cui le plastiche arrivano in mare
L’ultimo, ma c’è da star sicuri che ne usciranno presto altri, è un report curato dal Wagener Institut per il Wwf, che ha valutato quasi 2.600 studi per quantificare gli impatti delle plastiche sulla biodiversità e sugli ecosistemi marini.
Le conclusioni, manco a dirlo, sono impressionanti, anche perché destinate a peggiorare rapidamente. Praticamente tutte le specie osservate dagli autori dello studio sono affette dall’inquinamento da plastica, che ha impatti negativi sul 90% di quelle considerate.
In particolare, oltre ad aver contaminato le catene trofiche, le plastiche interferiscono con la produttività di alcuni degli ecosistemi marini più importanti, come le barriere coralline e le foreste di mangrovie.
In alcune regioni – il Mediterraneo, la Cina orientale, il Mar Giallo e le aree marine artiche – sono già stati superati i livelli di inquinamento da plastica oltre i quali possono verificarsi rischi ecologici significativi e molte altre regioni potrebbero trovarsi nella stessa situazione tra pochi anni.
Inoltre, se anche l’inquinamento da plastica si fermasse oggi, i livelli di microplastica marina sarebbero più che raddoppiati entro il 2050 e alcuni scenari prevedono addirittura un aumento di 50 volte entro il 2100.
Secondo le Nazioni Unite, quella da plastica è una crisi planetaria, al pari di quelle che investono la biodiversità o il clima. A cui occorre dare risposte, tenendo conto che il tempo è davvero poco, che dal 70 all’80% della plastica (in peso) che finisce in mare arriva dai fiumi e che di recente si è scoperto che i fiumi più piccoli hanno un ruolo più rilevante di quel che si pensava.
RiverCleaning è una società di Cassola, in provincia di Vicenza, che ha messo a punto un sistema per bloccare il flusso di rifiuti plastici nei fiumi. Il dispositivo è basato su dischi galleggianti, dotati di palette e collocati in diagonale rispetto alla corrente, che convogliano i rifiuti che fluttuano sul pelo dell’acqua a un deposito in cui vengono poi raccolti.
Dai test condotti sul fiume Brenta è risultato che questo sistema, che permette il passaggio delle imbarcazioni, riesce a intercettare fino al 96% dei rifiuti che galleggiano nel fiume. Inoltre, l’azienda della provincia di Vicenza ha declinato la tecnologia anche per intercettare le sostanze oleose che inquinano i fiumi.
In questo caso, i dischi galleggianti sono perforati e praticamente risucchiano i rifiuti oleosi e li canalizzano a un serbatoio dove vengono trattate.
Oltre alle varie forme di inquinamento, i corsi d’acqua devono anche affrontare problemi legati alla riduzione della portata, a cui contribuiscono le variazioni del clima ma anche le attività antropiche come l’estrazione dai fiumi e dalle sorgenti, lo sfruttamento delle acque sotterranee, il drenaggio dei terreni per favorire l’agricoltura e l’incremento dell’evaporazione a causa del microclima più caldo delle aree urbane.
Uno studio condotto da Irene Palazzoli, Alberto Montanari e Serena Ceola dell’Università di Bologna e pubblicato da Agu Advances, ha cercato di determinare in che modo l’urbanizzazione contribuisce alla riduzione delle acque superficiali e come questo fenomeno dipende dalla distanza dei fiumi e dei laghi dalle città.
I ricercatori hanno utilizzato immagini satellitari relative agli Stati Uniti nel periodo compreso tra il 1984 e il 2018 per dimostrare come lo stress sulle risorse idriche superficiali aumenta in maniera esponenziale quanto più ci si avvicina ai centri urbani.
Il modello matematico sviluppato per lo studio consente di ottenere informazioni utili per pianificare la gestione delle acque nei contesti urbani, tanto più utili alla luce degli scenari futuri che prevedono sia un aumento della popolazione urbana sia un aumento delle temperature.
Un’altra realtà tecnologica assorbi-plastica, Plastic Bank, torna in campo, anzi in acqua, con il supporto dell’azienda cosmetica Davines, per raccogliere tanta plastica quanti prodotti Davines saranno venduti nel 2022.
La promessa è che entro fine anno Davines e Plastic Bank rimuoveranno dall’ambiente l’equivalente della quantità di plastica derivante dalle vendite dei prodotti dei due brand, Davines (hair care) e [comfort zone] (skincare), raggiungendo quindi la neutralizzazione delle proprie emissioni di plastica e ottenendo da Plastic Bank la certificazione Plastic Neutral.