Home Imprese Sostenibili Decarbonizzare? Si può con cattura delle emissioni, economia circolare e, anche, riforestazione

Decarbonizzare? Si può con cattura delle emissioni, economia circolare e, anche, riforestazione

carbon capture
Immagine da Depositphotos

Riforestare, piantare nuovi alberi serve ma è altrettanto importante adottare iniziative e tecnologie che aiutino ad abbattere le emissioni nocive – CO2 e metano soprattutto – affiancandole all’economia circolare.

Wake Smith insegna all’Università di Yale, dove tiene un corso dedicato ai rischi e alle potenzialità delle strategie di modificazione del clima, a cui ha dedicato il suo prossimo libro, intitolato Pandora’s Toolbox.

Lo abbiamo intervistato per capire da lui quali sono le priorità in un settore così determinante per le politiche di mitigazione e adattamento.

Lei sembra scettico sulle Nature Based Solutions e, in effetti, molti credono che possano giocare solo un ruolo marginale nel contrastare il riscaldamento globale. Secondo alcuni, però, l’agroecologia e le pratiche rigenerative dei suoli potrebbero essere incluse nelle Nbs: pensa che possano dare un contributo per contrastare il cambiamento climatico

L’agroecologia e le pratiche rigenerative (comprese la forestazione) dovrebbero senz’altro essere incluse nella cassetta degli attrezzi per combattere il cambiamento climatico.

Respingo però l’idea, attraente ma ingenua, che queste soluzioni possano risolvere completamente il problema. Non è così. Secondo un rapporto della National Academies pubblicato di recente suolo e alberi potrebbero risolvere forse il 5% del nostro problema.

Certo, è pur sempre meglio di niente, ma non è nemmeno la cosa principale su cui concentrarsi. Come ha detto il giornalista americano Bill McKibben, nella lotta per il clima, “non c’è la pallottola d’argento, ci sono solo pallettoni d’argento“.

wake smith

Quali sono le tecnologie per la cattura del carbonio più promettenti?

La tecnologia più promettente è l’uso di processi chimici per catturare la CO2 dalle ciminiere prima che raggiunga l’atmosfera.

Nei fumi che escono dalle ciminiere il carbonio è presente in una percentuale che varia tra il 5 e il 30%, mentre la sua concentrazione in atmosfera è di circa 410 parti per milione.

In altre parole, la CO2 è molto più concentrata nelle ciminiere che nell’aria e, di conseguenza, servirà molta meno energia per catturarla nelle ciminiere. Finché ci sono ancora fonti fisse di emissione su cui non sono installati gli scrubber per il carbonio, non dovremmo preoccuparci della cattura diretta dall’aria.

Prima le ciminiere: ce ne sono molte migliaia nel mondo e solo una trentina hanno gli scrubber. Dobbiamo partire da qui.

Pensa che l’economia circolare possa giocare nelle strategie di riduzione delle emissioni e di sequestro della CO2?

Questo è un altro dei pallettoni d’argento (nel senso che l’economia circolare può giocare un ruolo), ma è anche un altro dei settori in cui l’ottimismo ingenuo spesso corre davanti alla realtà pratica.

Il nostro attuale fabbisogno di carbonio è pari a circa l’1% della nostra attuale produzione di carbonio. Alcune stime suggeriscono che potremmo raddoppiare, triplicare o quadruplicare quei mercati di utilizzo, ma anche così si arriverebbe ad ancora meno del 5% delle nostre emissioni. Il restante 95% (o 99%) deve essere affrontato riducendo le emissioni.

In uno scenario globale come quello attuale, quali probabilità pensa che possa avere un accordo internazionale del tipo richiesto per rendere operative soluzioni di geoingegneria della portata necessaria per combattere il cambiamento climatico?

Dipende di quali soluzioni di geoingegneria stiamo parlando. In ogni caso, nell’attuale scenario globale, le probabilità sono scarse o nulle. Per la cattura del carbonio – prima dalle ciminiere e poi dall’atmosfera – la struttura del problema è molto simile a quella della mitigazione delle emissioni, quindi mi aspetto che gli stessi accordi che governano il secondo settore governino il primo.

Tuttavia, va detto che quella struttura di governance funziona a malapena per la mitigazione – dopo tutto, le emissioni stanno ancora crescendo.

Quindi, come per la mitigazione, a spingere la cattura globale del carbonio sarà uno scenario in cui alcuni paesi coraggiosi (probabilmente in Europa) accetteranno un sacrificio locale per un beneficio globale e poi cercheranno di convincere il resto del mondo a seguirli.

Lo ribadisco, questo per lo più adesso non sta funzionando, forse col tempo lo farà. La geoingegneria solare è un problema molto diverso, dato che abbiamo bisogno del consenso di tutti gli stati del mondo per intervenire attivamente sul clima globale.

Penso che questo richiederebbe una nuova architettura della governance al di fuori dell’Accordo di Parigi. E, a meno che il problema del clima non peggiori molto rispetto alla situazione attuale, non mi sembra che il mondo sia pronto a convergere su questo tipo di accordo. Mi pare lontano decenni.

Non pensa che la cattura e il sequestro del carbonio e le tecnologie di geoingegneria possano essere usate dalle compagnie dei combustibili fossili come pretesti per ritardare la decarbonizzazione?

Per quanto riguarda la cattura del carbonio, possiamo essere certi che le compagnie di combustibili fossili cercheranno di fare proprio così, perché lo hanno già fatto.

Tuttavia, il fatto che le compagnie dei combustibili fossili possano cercare di abusarne non è una ragione per abbandonare questa tecnologia. Piuttosto, dobbiamo fare in modo di comunicare chiaramente al pubblico quali possono essere gli usi giusti e quelli sbagliati.

E a proposito, se in certi casi si dimostra più economico ricatturare il carbonio dall’aria direttamente che impedire la sua emissione (l’aviazione potrebbe rivelarsi un esempio), non c’è niente di sbagliato in questo sistema. Al clima non interessa se impediamo l’emissione di una tonnellata di carbonio o se la emettiamo e la ricatturiamo.

L’impatto ambientale delle due cose è identico. Per quanto riguarda la geoingegneria solare, penso che si tratti di una preoccupazione ampiamente esagerata.

20 anni fa, quando il concetto era nuovo, era possibile che qualcuno si potesse entusiasmarsi per la possibilità di riflettere la luce del sole a basso costo e dire “invece di frenare le emissioni, facciamolo!“.

Questa idea circola da un paio di decenni ed è ormai chiaro che le cose sono cambiate. Il mondo in generale rimane inorridito all’idea di un intervento sul clima così audace e rischioso e quindi continuerà, secondo me, a essere adeguatamente cauto nella sua attuazione.

Questo è uno strumento a cui ricorrere solo se andiamo molto oltre i limiti climatici previsti – diciamo 3 o 4°C piuttosto che l’auspicato 1,5 o 2°C.

Tuttavia, se alla fine di questo secolo davvero dovessimo arrivare a quei livelli di riscaldamento, allora la geoingegneria solare potrebbe rivelarsi lo strumento migliore per raffreddare la terra e mantenere parti dei tropici abitabili e fertili.

Se anche dovesse dimostrarsi un intervento sensato (e non è scontato che lo sia), sarà comunque un intervento per i decenni a venire e non per l’epoca attuale.

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