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Amplificazione artica, la faccia oscura del cambiamento climatico

pubblicato il:
regione artica
Immagine da Depositphotos

Le grandi massi ghiacciate dell’Artico riflettono la radiazione solare e contribuiscono ad abbassare la temperatura globale. Negli ultimi decenni, però, la superficie ghiacciata si è progressivamente ridotta, con effetti a cascata su ogni componente degli ecosistemi.

Nelle discussioni sulla transizione ecologica, che nelle ultime settimane si sono fatte ancora più serrate a causa dell’invasione russa dell’Ucraina, manca quasi sempre un elemento essenziale.

Che, pur rischiando di essere un gigantesco convitato di pietra, viene disinvoltamente messo da parte, come se bastasse parlare a lungo di transizione per risolvere ogni problema.

In tutto questo gran discutere spariscono spesso quelli che sono i presupposti essenziali della transizione, perché è urgente farla, cosa serve per portarla avanti e perché alla fine è senz’altro vantaggiosa; qualcuno arriva persino a dire che il gas e il nucleare sono sostenibili.

Come ricordava però James Hansen, uno dei più importanti climatologi del mondo, “la natura e le leggi della fisica non scendono a compromessi“. E quindi, per quanto lo si ignori, il gigantesco convitato di pietra, il cambiamento climatico, continua imperterrito la sua accelerazione.

Gli impatti sono evidenti ovunque, ma è nella regione artica, che si stanno manifestando con particolare forza, al punto che nella comunità scientifica si parla ormai da anni di amplificazione artica per indicare il fatto che nelle aree polari le temperature salgono di più e più rapidamente che nel resto del Pianeta. Con effetti sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici in larga misura ancora inesplorati.

Uno studio, firmato da ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’Università La Sapienza e pubblicato su Scientific Reports, ha indagato le relazioni tra innalzamento delle temperature e le dinamiche degli ecosistemi lacustri alle latitudini elevate.

La ricerca, che si è avvalsa di competenze provenienti da campi disciplinari molto diversi, ha combinato l’analisi degli isotopi di campioni animali e vegetali con le immagini satellitari e le ricostruzioni in 3D dell’idrodinamica di 18 laghi delle Isole Svalbard.

Secondo gli autori, la crescita delle temperature comporterà un aumento dell’afflusso di nutrienti negli ecosistemi esaminati, con conseguenze sulla loro produttività e sui tassi di rilascio di carbonio in atmosfera, due fattori che fino a oggi sono stati limitati dalla carenza di azoto e di altri elementi.

Sempre su Scientific Reports è stata pubblicata una ricerca firmata da Marta Magnani, Ilaria Baneschi, Mariasilvia Gamberini, Brunella Raco e Antonello Provenzale che ha analizzato i fattori che determinano gli scambi di CO2 tra suoli, vegetazione e atmosfera.

Nella regione della tundra artica, scrivono gli autori, questi flussi sono influenzati da temperatura, radiazione solare, umidità del suolo, quantità e varietà della vegetazione.

E dal bilanciamento di questi fattori dipenderà se la tundra sarà un pozzo che andrà ad assorbire il carbonio o, al contrario, una sorgente.

L’innalzamento delle temperature va infatti ad aumentare le emissioni di CO2 dalla vegetazione e dal suolo, ma porta anche a un allungamento della stagione vegetativa e alla possibile espansione di alcune specie con maggiore capacità fotosintetica, che porterebbe a un maggior assorbimento di CO2 atmosferica e quindi una diminuzione della sua concentrazione.

Se di fronte ai cambiamenti climatici la politica ancora esita e molte aziende insistono con il green washing, si moltiplicano però le iniziative che puntano a tutelare l’ambiente e a ridurre gli impatti delle attività umane.

Ideato dall’European Research Institute e supportato per la parte scientifica dal Politecnico di Torino, Stop the Alps becoming Plastic Mountains è un progetto che ha l’obiettivo di tutelare l’ambiente di alta montagna e che ha intrecciato ricerca, sensibilizzazione sull’inquinamento da plastica, istruzione, formazione e prevenzione.

Queste attività, che sono state portate avanti con la collaborazione di quattro rifugi alpini, 33 classi di otto scuole (dalle elementari alle scuole superiori) con 660 studenti coinvolti, si sono tradotte in 19 eventi di formazione per professionisti della montagna e in 23 escursioni, di cui 15 con pulizia di 197 chilometri di sentieri.

Persino in questi ambienti in apparenza incontaminati, parliamo delle aree in alta quota delle Alpi occidentali, dal versante piemontese del Gran Paradiso alle Alpi Marittime, sono stati purtroppo raccolti 98 chilogrammi di rifiuti di plastica (circa mezzo chilo a chilometro).

Grazie poi al contributo di North Face Explore Fund, il nuovo progetto CleanAlps, che durerà fino al luglio 2023, arriverà a 40 interventi di pulizia sui sentieri di tutte le Alpi nord-occidentali.

Crediti immagine: Depositphotos

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