La transizione ecologica vacilla sotto i colpi del ritorno al fossile e della poca efficienza energetica. Per Rossella Muroni, deputata di FacciamoEco, serve una svolta che punti a una nuova fiscalità ambientale, l’adeguamento del nostro Piano energia e clima ai più ambiziosi target climatici europei, un sostegno vero alle rinnovabili e una legge sul clima che renda vincolanti gli impegni assunti a livello internazionale.
Ce ne stiamo accorgendo: con l’instabilità dettata dalla guerra in atto si fa fatica a prendere in considerazione mosse e azioni tipiche della tanto invocata negli anni efficienza energetica, rischiando così di tornare, alla fine, a usare più che altro l’energia fossile.
Ne è convinta anche Rossella Muroni, ecologista, deputata di FacciamoEco e vicepresidente della Commissione Ambiente della Camera.
“Da una parte – risponde la Muroni a questa intervista esclusiva a greenplanner.it – l’invasione russa dell’Ucraina mostra in modo evidente le contraddizioni del nostro modello di sviluppo e il fatto che le rinnovabili sono energie pulite e di pace.
Solo un modello energetico diverso, basato sulle rinnovabili, sull’efficienza energetica e sulla generazione pulita diffusa può garantire indipendenza energetica, convenienza economica, uno sviluppo davvero sostenibile e la libertà di rispondere come si dovrebbe – senza ricatti – alle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.
Ecco perché oggi è più che mai urgente la transizione ecologica ed energetica. Dall’altra chi già prima frenava la transizione, oggi usa la guerra per invocare addirittura un ritorno al vecchio nucleare o al carbone e rinviare il green deal.
Preoccupante in tal senso non solo quanto sta accadendo sul fronte energetico, o nell’automotive, ma anche su quello dell’agricoltura con le deroghe che vanno a colpire proprio il greening della nuova Pac“.
C’è sempre più il rischio di dire “salviamo l’ambiente o salviamo la gente”: come risolvere questa impasse?
Non bisogna mettere in contrapposizione le due istanze, ma preoccuparsi contemporaneamente di chi ha paura della fine del mondo e di chi ha paura della fine del mese.
Oltre a essere necessaria per affrontare la crisi climatica, la transizione ecologica è anche una grande opportunità per liberarci dalla dipendenza fossile, costruire una società più giusta, equa e democratica e un’economia innovativa efficiente e circolare, che rispetta l’ambiente e i diritti delle persone.
Ma certo la transizione va guidata con visione e coerenza e la politica ha la responsabilità di accompagnare questa trasformazione verso la sostenibilità facendo attenzione a sostenere i settori più coinvolti e i cittadini più fragili, così da a non lasciare indietro nessuno.
Per esempio i sussidi ambientalmente dannosi che vanno gradualmente eliminati, devono essere sostituiti da nuovi sostegni e incentivi che aiutino cittadini e imprese e contemporaneamente anche la transizione.
È importante anche avere consapevolezza dei nostri talenti: oltre 440mila imprese censite dal rapporto Green Italy di Fondazione Symbola e Unioncamere hanno già investito sul green e proprio per questo sono più resilienti e competitive e creano lavoro di qualità.
Parliamo di diritti: secondo lei l’ambiente deve diventare un diritto umano per essere rispettato?
Quello a un ambiente sano è un diritto riconosciuto dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite e finalmente in modo esplicito anche dalla nostra Costituzione.
Con la recente riforma degli articoli 9 e 42, infatti, è stata introdotta tra i principi fondamentali della nostra Carta la tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali. Tutto a vantaggio anche delle future generazioni.
Con una piccola aggiunta all’articolo 41 si stabilisce inoltre che l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto alla salute e all’ambiente. È un risultato storico, ma adesso la sfida sarà realizzare questi principi nella pratica quotidiana.
Priorità programmatiche: quali sono per lei?
Se il governo Draghi, nato sulla promessa della transizione, la sua maggioranza e il Parlamento credono davvero nella trasformazione che dovrà portarci a un’economia a zero emissioni nette entro il 2050, serve una svolta.
Vedo tre linee di azione strategiche: una nuova fiscalità ambientale, l’adeguamento del nostro Piano energia e clima ai più ambiziosi target climatici europei e un sostegno vero alle Rinnovabili, una legge sul clima che renda vincolanti gli impegni assunti a livello internazionale.
Per nuovo fisco green intendo un insieme coordinato di misure per spostare il carico fiscale dal lavoro al prelievo e consumo di materie prime e risorse, per introdurre un contributo ecologico sulle emissioni generate dalla produzione di beni e servizi, per avviare il taglio ai sussidi ambientalmente dannosi: circa 21 miliardi l’anno secondo il censimento del MiTe.
Le risorse così liberate potranno essere più utilmente utilizzate a sostegno dei cittadini meno abbienti e della trasformazione green e circolare del sistema industriale italiano.
Perché questo diventi l’anno della transizione ecologica è necessario adeguare il Piano energia e clima all’obiettivo europeo di tagliare di almeno il 55% le emissioni climalteranti al 2030, installare 70 GW di nuova potenza rinnovabile entro la stessa data, incrementare l’efficienza e il risparmio energetici, investire su sistemi di accumulo, tecnologie e materiali più promettenti.
Uno sforzo enorme, ma possibile. Elettricità Futura, associazione di ambito confindustriale, ha chiesto a febbraio al governo che venissero autorizzati entro giugno 60 GW di nuova potenza pulita che è pronta a realizzare in tre anni investendo 85 miliardi e creando 80mila posti di lavoro.
Ce la possiamo fare, ma è fondamentale semplificare gli iter autorizzativi per i nuovi impianti di rinnovabili: gli oltre 20 atti e pareri oggi necessari sono il più potente disincentivo esistente all’energia pulita. Proprio questo è l’obiettivo di molti dei miei emendamenti al cosiddetto decreto energia all’esame della Camera.
Strategico anche superare il Nimby dei ministeri, che troppo spesso con le Sovrintendenze bloccano le autorizzazioni e le opposizioni di comitati e territori. Per questo serve ampliare il dibattito pubblico garantendo più informazione e partecipazione.
Queste sue posizioni sono all’interno della Commissione all’ambiente alla Camera di cui lei è vicepresidente?
Negli ultimi anni c’è stata una tendenza forte da parte dei vari esecutivi che si sono succeduti a saturare il Parlamento di decreti e certo i due anni di emergenza Covid e ora la guerra in Ucraina hanno rappresentata un’ulteriore spinta in questa direzione.
Ma è un fatto che oggi, almeno a parole, siamo tutti per la transizione ecologica. La Commissione Ambiente sta lavorando molto sulle semplificazioni per le rinnovabili e per l’accesso al superbonus, sulle direttive europee come quelle del pacchetto Fit for 55.
Ma il problema è che i pareri del governo sulle proposte più innovative e dal maggiore potenziale sono quasi sempre, inesorabilmente, negativi.
La maggior parte delle sedute sono impiegate per l’esame di atti del governo, il tempo dedicato agli atti di iniziativa parlamentare è decisamente più ristretto.
Questo ovviamente non ci impedisce di ottenere alcuni risultati importanti, come la citata riforma della Costituzione a cui era abbinata anche una mia proposta, la sperimentazione anticipata sulle comunità energetiche o la legge di promozione del biologico, ma rende tutto più complicato.