Home Eco Lifestyle Il permafrost alpino si sta sciogliendo: timore per il deflusso degli inquinanti

Il permafrost alpino si sta sciogliendo: timore per il deflusso degli inquinanti

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Immagine da Depositphotos

Il permafrost sulle Alpi, che contiene quantità importanti di metalli pesanti, si sta fondendo a causa del riscaldamento globale creando preoccupazione tra gli scienziati per il deflusso delle sostanze inquinanti che potrebbe andare a contaminare fiumi, laghi e sorgenti. Un altro impatto, anche questo inatteso, dei cambiamenti climatici, che stanno lasciando una firma sempre più chiara su temperature e precipitazioni

In occasione della Giornata mondiale della Terra, che si è tenuta venerdì 22 aprile 2022, Copernicus Climate Change Service ha pubblicato il suo European State of the Climate 2021, la quinta edizione del report dedicato all’analisi del clima in Europa.

Chi sperava in qualche buona notizia per celebrare la giornata dedicata alla tutela del Pianeta, è rimasto deluso.

Anche se sull’anno la temperatura non è stata da record, l’estate del 2021 è stata la più calda mai registrata in Europa, segnata da estremi di temperatura, in Spagna 47°C e 48,8°C in Sicilia (anche se questo dato record è ancora in attesa di conferma), da incendi devastanti, soprattutto in Italia, Grecia e Turchia e da alluvioni catastrofiche in Belgio, Germania e alcuni paesi vicini.

Allargando lo sguardo, il livello del mare ha continuato a crescere durante il 2021 con un aumento complessivo di circa 9 centimetri dal 1993 e gli ultimi dati disponibili evidenziano come le calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide abbiano continuato perdere massa ed estensione.

Indicazioni queste confermate dall’ultimo bollettino mensile del Copernicus Climate Change Service, che rileva come l’estensione del ghiaccio marino antartico per il mese di marzo è stata del 26% inferiore alla media 1991-2020, la seconda più bassa in 44 anni di registrazioni satellitari.

All’altra estremità del Pianeta, l’estensione del ghiaccio marino artico è stata del 3% inferiore alla media 1991-2020, proseguendo nella tendenza di estensioni inferiori alla media ma non eccessivamente basse.

Ghiacciai in sofferenza: le conseguenze

Dappertutto i ghiacci, marini o terrestri che siano, sono in grave sofferenza. Una conferma viene da una ricerca condotta dal Consiglio nazionale delle ricerche e dall’Università Ca’ Foscari, con il contributo dell’Istituto nazionale geofisica e vulcanologia e dell’Università di Padova, che ha valutato le condizioni del Calderone, il corpo glaciale più meridionale d’Europa e unico degli Appennini.

Le notizie non sono confortanti: il ghiacciaio, situato a 2.600 metri di quota, conserva solo 25 metri di ghiaccio.

La misura è stata effettuata con prospezioni radar ed elettromagnetometriche, che hanno rilevato che sotto i detriti c’è una sezione di ghiaccio misto a detriti rocciosi e, ancora più sotto, uno strato di ghiaccio apparentemente integro.

Gli scienziati che hanno partecipato alla ricerca sperano di riuscire a estrarre da questo strato delle carote da cui ricavare informazioni paleoclimatiche.

La fusione dei ghiacciai causata dall’innalzamento delle temperature non riguarda solo il ghiaccio ma anche lo strato di suolo ghiacciato sottostante, quello che una volta veniva chiamato permafrost.

Nelle Alpi, la forma più diffusa di permafrost è rappresentata dai cosiddetti rock glacier, strati di detriti che contengono ghiaccio al loro interno. Quando questo ghiaccio si fonde, genera un deflusso che influisce sulla quantità e qualità delle acque di sorgenti, ruscelli e torrenti che scorrono nelle vallate sottostanti.

Nei deflussi dai rock glacier si trovano spesso disciolte numerose sostanze chimiche, tra cui alcuni metalli pesanti che spesso vengono rinvenuti a concentrazioni elevate.

Anche se non è ancora chiara l’origine di queste sostanze, la contaminazione delle acque è un potenziale problema ambientale.

Proprio per indagare su questi aspetti ancora poco conosciuti prenderà avvio nelle prossime settimane Rock-Me, uno studio che durerà tre anni condotto da Libera Università di Bolzano, Fondazione Edmund Mach e Accademia Austriaca delle Scienze.

La ricerca, che si avvale anche dell’analisi degli isotopi, punterà a determinare la provenienza dei metalli pesanti, per scoprire se essi sono originari del luogo oppure se si sono depositati nel corso dei decenni in conseguenza dell’inquinamento atmosferico.

Inoltre, Rock-Me fornirà informazioni anche in tema di salute pubblica in merito alle resistenze dei microbi ai metalli pesanti, che possono rendere inefficaci anche molti antibiotici.

Crediti immagine: Depositphotos

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