31 bambini e ragazzi sono morti sulle strade italiane dall’inizio dell’anno. Andavano in bicicletta. L’unico mezzo che dovrebbe fare bene a loro e a noi. E invece portano morte. Troppa morte…
L’ultimo incidente mortale ieri a Milano, vicino alla redazione di Greenplanner.it dove eravamo al lavoro mentre apprendevamo la notizia. Siamo allibiti anche perché l’istituto che Luca, il 14enne deceduto ieri, frequentava – il Liceo Einstein – è una scuola dove noi della redazione abbiamo lavorato e che conosciamo bene.
Quanti altri bambini ragazzi, morti come quello di ieri mattina, ancora si dovranno contare prima di poterci veder restituire una città a misura d’uomo, anziché a misura di automobile?
Quanti altri ancora prima di poter tornare ad abitare in “città attraversate dalle strade anziché autostrade fiancheggiate da abitazioni“? Quanti altri ancora sarete disposti a sacrificare alla casualità?
Se per poter abitare e vivere – sì, vivere e non morire – in una città è necessario conoscere approfonditamente il Codice della Strada allora questa non è una città per bambini, non è una città per anziani, non è una città a misura d’uomo.
Se in una città il margine di errore non esiste, vuol dire che non è una città a misura d’uomo e tantomeno a misura di bambino. Eppure noi dobbiamo avere la libertà di andare in bicicletta che è l’unico mezzo che fa bene all’ambiente.
Città da ricostruire
Non è la prima volta che diciamo che le città e la loro urbanistica vanno ricostruite a misura di umani. In queste che siamo costretti a vivere non c’è alcun rispetto per l’utenza “debole”.
Città in cui nel corso degli anni tutto lo spazio disponibile per le utenze deboli è stato progressivamente fagocitato dalle automobili e dal traffico motorizzato in genere. Tutto lo spazio disponibile, a cominciare dai marciapiedi per finire con tutti gli spazi dedicati a pedoni e ciclisti, che sono stati sacrificati in nome della mobilità automobilistica.
Una situazione drammaticamente diffusa perché abbiamo città ormai attraversabili solo in automobile. Città costruite, anzi ricostruite, vivibili – o forse è meglio dire abitabili – soltanto da chi conosce il Codice della Strada.
Pensare che un ragazzino di 11 o 7 o 14 anni, come quelli che sono morti in questi ultimi giorni, conosca il Codice della Strada o abbia una prudenza che non è tipica di quella età, vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato, perché i ragazzini non sono obbligati a conoscerlo (anche se le ore di educazione civica potrebbe ben coprire questo gap), mentre quelli che circolano in automobile, del Codice spesso ne fanno strame, mentre dovrebbero conoscerlo e rispettarlo.
Allora possiamo cominciare a farci qualche domanda su chi utilizza la strada, su chi utilizza i marciapiedi, possiamo cominciare a parlare di bulimia automobilistica, quella strana patologia in base alla quale “la strada serve all’automobile per muoversi” ma in base alla quale, anche il marciapiede serve alle automobili “per essere parcheggiate” con grande soddisfazione di tutti quelli che non sanno dove lasciare l’auto.
Come se la loro auto e la sua sosta dovesse diventare un problema di tutti i loro concittadini, compresi quelli che, per esempio, l’auto non la usano. E vanno in bicicletta oppure a piedi.
Cominciamo a chiederci se sia ancora possibile abitare città dove attraversare una strada sia un terno al lotto e dove è meglio levarsi in fretta dalla striscia di asfalto, rischiando come oggi di finire su un tracciato del tram.
Se sia possibile abitare in città dove anche chiedere la riduzione della velocità suoni come una lesione della libertà di muoversi. Nonostante 31 bambini morti in strada dall’inizio dell’anno.
ha collaborato Marco Fardelli