Riflessioni sulle tendenze in atto nell’uso di fibre riciclate nella moda: è necessaria una cultura sia a livello industriale sia da parte dei consumatori.
Il lavoro sulle fibre riciclate deve essere portato avanti in parallelo: da una parte bisogna agire sul lato della domanda, sensibilizzando i consumatori, ma anche i creativi e i marchi e su quello dell’offerta, supportando i filatori e i tessitori che puntano su prodotti second life.
E soprattutto, intensificare la ricerca di tecnologie in grado di selezionare e valorizzare al meglio le fibre durante i processi di riciclo senza comprometterne resa e qualità.
Questo naturalmente per quanto riguarda l’obiettivo più ambito: l’upcycling, riciclare cioè per realizzare materiali di qualità pari o superiore al rifiuto di partenza, in altre parole da tessuto a fibra.
Il fenomeno è ancora difficile da quantificare in modo dettagliato; spesso le imprese si limitano a indicare la presenza di materie prime riciclate senza fornire adeguata documentazione (senza cioè adottare le certificazioni Grs – Global Recycled Standard, Rcs – Recycled Claim Standard o utilizzare asserzioni autodichiarate conformi alla norma Iso14021) ma il messaggio ormai attraversa il sistema moda: riciclato è meglio di vergine, almeno finchè non compromette la qualità dei prodotti.
Di fatto sta crescendo l’impegno dei brand della moda a utilizzare fibre rigenerate nelle collezioni. Un trend che si traduce in incremento della domanda di tessuti che presentano almeno una quota di materia prima ottenuta da processi di riciclo, domanda che i tessitori intercettano riformulando le loro proposte in termini più circolari.
Quali sono le fibre riciclate più utilizzate?
Grazie al progetto sostenibilità di Milano Unica e alle informazioni fornite dalle imprese partecipanti è possibile provare a rispondere a queste domande partendo da dati concreti.
I campioni di tessuto e accessori che nell’edizione di settembre 2022 hanno avuto l’etichetta materiali da riciclo sono stati quasi 597, a conferma di come l’uso di materie prime second life sia una pratica sempre più diffusa, anche nella realizzazione di prodotti di elevata qualità.
Tra i materiali ottenuti da riciclo, la leadership è ricoperta dal poliestere riciclato che compare 277 volte nei campioni analizzati e si qualifica come la fibra più utilizzata presente quasi in un campione su 2 (è infatti il 44% dei materiali second life presenti).
A seguire si segnala la poliammide la cui presenza ricorre 123 volte, pari al 20%. Presenti ma meno evidenti le fibre naturali riciclate.
La cosa non sorprende: le naturali sono circa il 40% delle fibre usate al mondo (dati Textile Exchange) e il loro riciclo – a parte la lana che beneficia di esperienze tecniche decennali – tende a indebolirle e a penalizzarne la qualità.
È il caso per esempio del cotone che sottoposto alle sollecitazioni meccaniche della cardatura perde qualità, tanto da richiedere l’inserimento di fibre vergini per essere rifilato.
I dati di Milano Unica lo confermano: la lana riciclata è presente in 69 campioni (11%) seguita dal cotone che compare 48 volte (circa l’8%), mentre risulta meno significativa la presenza delle altre fibre tessili.
Da non sottovalutare le opportunità comunque offerte dal downcycling, l’uso cioè di fibre tessili in imbottiture, Tnt, feltri… il cui ruolo nell’insieme dell’economia circolare è di crescente rilevanza.
Un approccio che spinge a guardare oltre i confini della moda per dare un destino agli scarti tessili nell’edilizia, nell’automotive, nel packaging…
Si chiama simbiosi industriale ed è certamente una delle strade da percorrere. Anche a questo devono servire i Consorzi previsti dalle politiche di circolarità di cui tanto si parla in questo momento.
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