Ci si comincia seriamente a interrogare se l’aumento continuo della popolazione mondiale, sul lungo periodo, sia sostenibile per l’integrità della biosfera e delle risorse naturali: scarsità di cibo, acqua e risorse, insieme ai cambiamenti climatici possono scatenare gigantesche migrazioni di massa.
La popolazione mondiale è in continua crescita. Ma quante persone possono ancora vivere sul Pianeta? L’Onu, a fine 2022, ha dichiarato il superamento degli 8 miliardi di abitanti sulla Terra.
L’equazione quindi è presto fatta: al crescere dello sviluppo umano è necessario un maggior senso di responsabilità verso ambiente e risorse naturali. La crescita della popolazione umana, sul lungo periodo, non è sostenibile per l’integrità della biosfera.
In ballo ci sono nuove sfide socio-economiche e ambientali: per questo crescono anche gli studi che analizzano il rapporto tra crescita demografica e cambiamento climatico. Un ulteriore apporto di persone sarà sostenibile dal punto di vista delle risorse naturali?
Gli eventi climatici estremi hanno ricadute rilevanti sulla demografia, tanto da arrivare a parlare di migrazioni climatiche. I dati del rapporto 2022 delle Nazioni Unite parlano chiaro: entro il 2050 tra i 30 e i circa 70 milioni di persone si muoveranno verso l’occidente, dai Paesi dell’Africa sub-sahariana, dell’Asia meridionale e dell’America Latina.
Causa la scarsità d’acqua, l’innalzamento del livello del mare e le carestie, a cui si aggiunge il fattore invecchiamento della popolazione con le inevitabili conseguenze di maggiori rischi di fragilità e vulnerabilità socio-sanitaria.
Recenti dati del Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc) mostrano che le prospettive climatiche dei prossimi 30 anni rasenteranno lo stravolgimento dei ritmi stagionali, con estati lunghe sei mesi e soprattutto più intense, per cui si prevede che il clima di Milano sarà come quello attuale di Austin, in Texas e quello di Roma sarà simile a quello attuale di Smirne, in Turchia.
È evidente che tale prospettiva avrà delle ricadute sulla salute e sulla qualità della vita. Serve una mitigazione dei rischi climatici, con interventi a ogni livello: ambientale, socio-economico, sanitario, che il più possibile agiscano però in una logica di comunità e di dialettica condivisa tra amministrazioni pubbliche, imprese e cittadini.
Serve affrontare sapientemente le sfide del futuro attraverso impegni e politiche pubbliche internazionali: ridurre le emissioni di gas serra nelle economie più avanzate; supportare lo sviluppo economico e urbano dei paesi emergenti riducendo il dispendio energetico e di emissioni.
Passato e presente: la black list Paesi più inquinanti
Per il Global Carbon Project, tra i primi 20 Paesi più inquinanti del Pianeta dalla fine dalla metà dell’800 al 2021 ci sono gli Stati Uniti, che alla fine del 2021 hanno emesso più di 509 GtCO2, rispetto al 1850, con poco più del 20% di emissioni sul totale globale, associata a un aumento di circa lo 0,2°C di riscaldamento fino a oggi.
La Cina è seconda nella classifica ed è responsabile di oltre il 10% delle emissioni globali di gas serra, seguita dalla Russia con il 7%, dal Brasile con il 5% e dall’Indonesia con il 4%.
A seguire poi la Germania, con oltre il 3% di emissioni totali. E poi ancora il Giappone con il 2,7% e il Canada con il 2,6%. L’Italia dove si posiziona? Più giù nella classifica, al 19esimo posto, ma sempre dentro la black list, con oltre 300 milioni di tonnellate di CO2 emesse nell’aria ogni anno.
La comunità scientifica internazionale, converge da tempo sulla responsabilità umana nel cambiamento climatico. Recenti dati del rapporto Demografia e cambiamento climatico – l’UE nel contesto globale, del Centro Comune di Ricerca (Jrc) di Ispra, mettono in luce quanto il benessere economico, lo sviluppo tecnologico e la popolazione siano non solo correlati tra loro, ma anche fattori determinanti nella produzione di emissioni di gas che provocano le variazioni climatiche: il 10% della popolazione mondiale che vive in una stato di maggiore ricchezza, economica, sociale, sanitaria e infrastrutturale, è responsabile del 48% delle emissioni di gas serra, a differenza del 50% della popolazione più povera che produce emissioni per il 12%.
Sono allarmanti anche i dati dell’ultimo rapporto Popolazione e vulnerabilità climatica del Population Institute di Washington Dc: c’è un nesso tra la vulnerabilità del clima e l’aumento demografico.
Il rapporto rileva che negli 80 paesi climaticamente più vulnerabili, la popolazione cresce, in media, il doppio rispetto agli altri Paesi, a livello globale, con una grave ricaduta per gli aspetti sociali: basso livello di istruzione, disuguaglianza di genere e mancanza di accesso o limitato, ai servizi legati alla salute.
Un cambio nella distribuzione geografica mondiale
Entro fine secolo, 8 persone su 10 nel mondo vivranno tra Asia e Africa. Secondo i dati del rapporto americano, nelle Filippine, in Uganda, in Niger e in Guatemala, è stato rilevato che tra la popolazione più giovane, c’è un aumento della fertilità annuale, che è quasi il doppio, tra le ragazze di età compresa tra i 15 e 19 anni, rispetto alla media globale.
Allo stesso tempo, il tasso di mortalità materna è più alto di circa il 25%, rispetto al resto del mondo. “Il modo in cui le tendenze della popolazione influenzano la nostra capacità di far fronte alla crisi climatica è un’area che tende a essere trascurata. Ma il nostro rapporto mostra esempi di sforzi innovativi, di grande impatto e multisettoriali che modellano il modo in cui le sfide collegate della vulnerabilità del cambiamento climatico, dell’equità di genere, della salute e dei diritti riproduttivi possono essere affrontate insieme” spiega Kathleen Mogelgaard, presidente e Ceo del Population Institute.
Per le Nazioni Unite l’Africa è il continente che vivrà il maggiore cambiamento: attualmente ha una popolazione di oltre 1 miliardo di persone, la cui crescita è prevista in aumento fino ad arrivare ad oltre 4 miliardi, entro il 2100.
Spostandoci poi nel continente asiatico, negli ultimi 50 anni, si è registrata una crescita della popolazione che ha raggiunto circa i 5 miliardi e che, entro il 2050, potrebbe superarli, per poi avere una fase discendente nella seconda metà del secolo e tornare per il 2100 ai livelli attuali.
Le analisi dei dati guardano anche all’India e al suo primato come Paese più popoloso nel 2100, con circa 1,5 miliardi di persone, risultando superiore anche alla Cina con il suo 1,1 miliardi di abitanti.
Spostandoci negli Stati Uniti e poi in Oceania, i dati rilevati dal rapporto mostrano che ci sarà un lieve incremento della popolazione, mentre in Europa la popolazione diminuirà dai circa 750 milioni di abitanti a circa 630 milioni nel 2100.
Meno del 6% della popolazione mondiale vivrà quindi nel continente europeo. Uno scenario globale alquanto complesso, incerto e frammentato, in cui finora si è abituati a identificare la leadership mondiale con i paesi occidentali, ma forse, questa volta, ad affrontare la sfida climatica planetaria e a guidare le strategie sostenibili per la transizione verde, potrebbero essere altri luoghi del Pianeta.