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La Danimarca non accetta più polli da alta densità di allevamento. E l’Italia?

polli allevamento

Il benessere dei polli da allevamento è tenuto in alta considerazione in Danimarca, che ha messo al bando quelli a crescita rapida: non se ne mangeranno più almeno nelle mense di enti pubblici e università.

Siete mai stati in un allevamento intensivo di polli? Se li state ancora mangiando è probabile che non abbiate fatto questa esperienza. Oltre all’odore è la vista di poveri polli ammassati che tocca da vicino. Sono lager.

La selezione genetica operata nel corso dei decenni fa sì che le razze a crescita rapida soffrano di una serie di problemi fin dalla nascita, dalle zoppie alle miopatie e ai problemi cardiaci.

Ed è  opinione dell’Efsa (l’autorità europea per la sicurezza alimentare) che i polli da carne a crescita rapida non possono vivere una vita in linea con standard adeguati di benessere animale.

Le evidenze non mancano: quindi è su questa base la Danimarca ha deciso di intraprendere una nuova strada. L’accordo politico si basa su quattro punti chiave:

  1. eliminare gradualmente l’acquisto di carne da polli a crescita rapida da parte degli enti pubblici danesi
  2. istituire un gruppo di lavoro che faccia luce sulle sfide in materia di benessere animale in relazione alla produzione di polli da carne in Danimarca
  3. lavorare per eliminare gradualmente la produzione di polli da carne a crescita rapida a livello europeo
  4. condurre una campagna statale per il benessere degli animali a partire dal 2023 con l’obiettivo di contribuire a promuovere la domanda di polli a crescita lenta

È particolarmente degno di nota il fatto che il governo danese abbia dichiarato apertamente il proprio sostegno a un divieto a livello europeo e si stia impegnando attivamente per ottenerlo, riconoscendo come la grande maggioranza dei cittadini europei abbia chiesto maggiori protezioni per gli animali nell’Ue.

Evidenze scientifiche

Il nuovo studio dell’Università di Wageningen, commissionato dall’organizzazione Eurogroup for Animals, ha valutato l’impatto che avrebbe sui costi di produzione il miglioramento del benessere dei polli da carne negli allevamenti di sei Paesi dell’Unione europea: Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Spagna.

I ricercatori hanno effettuato la valutazione dei costi considerando la transizione da sistemi di allevamento convenzionali a quelli in linea con la richiesta dello European Chicken Commitment che affronta le stesse problematiche di benessere animale messe in luce dalla recente opinione dell’Efsa: riduzione delle densità di allevamento, transizione a razze a più lento accrescimento, disponibilità di arricchimenti ambientali e utilizzo di sistemi di stordimento efficaci.

Nel caso dell’Italia, i costi di produzione di un pollo prodotto in linea con i criteri dell’Ecc sono stati paragonati a quelli di un pollo convenzionale allevato a una densità di 20 animali/m2.

Secondo Essere Animali, tenendo conto di tutti i miglioramenti che andrebbero effettuati in allevamento e nella fase di stordimento e macellazione, un pollo con un livello di benessere pari all’Ecc costerebbe solo 0,29 euro in più al chilo rispetto a uno convenzionale.

Questa cifra, che rappresenta in totale un aumento di circa il 18%, è in linea con i dati che emergono nello studio per gli altri cinque Paesi analizzati. E l’Italia come è messa? A inizio d’anno avevamo raccontato il caso Fileni, azienda che non ci ha più dato risposte.

Bisogna fare di più: secondo Elisa Bianco, responsabile corporate Engagement di Essere Animali: “È necessario che la transizione sia supportata da investimenti pubblici e, soprattutto, suddivisa sull’intera filiera, invece di gravare unicamente su produttori o consumatori.

Come sta accadendo in altri Paesi europei, dalla Danimarca alla Spagna, ci auguriamo di vedere presto anche in Italia un impegno forte da parte delle istituzioni e dei supermercati per garantire ai polli e ai cittadini quei miglioramenti di sostenibilità e benessere animale che non possono più essere rimandati“.

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