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Nomadi digitali, next step dello smart working?

nomadi digitali
Immagine di Depositphotos

Lavorare, digitalmente, spostandosi nella località che si preferisce, girando il mondo e, al tempo stesso, continuando a svolgere la propria attività. È il nomadismo digitale, passo successivo allo smart working che permette a migliaia di professionisti in tutto il mondo – per lo più sviluppatori e tecnici informatici – di godersi il lavoro e la vita.

Secondo il rapporto 2022 sul Nomadismo Digitale in Italia, realizzato attraverso un sondaggio internazionale a cui hanno risposto oltre 2.200 remote worker e nomadi digitali provenienti da Paesi diversi dall’Associazione Italiana Nomadi Digitali, l’Italia risulta una destinazione attraente agli occhi dei remote worker e dei nomadi digitali: il 43% degli intervistati sceglierebbe il Sud Italia e le Isole come destinazione privilegiata, il 14% una destinazione del Centro Italia e il 10% il Nord Italia (qui il report).

Dunque, il nomadismo digitale, oltre che una tendenza legata al bilanciamento della sfera lavorativa con la sfera personale, potrebbe diventare per il nostro Paese anche una fonte importante di sviluppo economico e di rivitalizzazione dei nostri piccoli borghi.

Infatti, il 93% degli intervistati per il rapporto ha risposto di essere interessato a vivere la propria esperienza da nomade digitale soggiornando per periodi di tempo variabili in piccoli comuni e borghi di territori marginali e aree interne, considerati luoghi dove la qualità della vita è migliore, rispetto ai grandi centri urbani.

Il lavoro ibrido crea importanti opportunità per i governi e le autorità locali per affrontare le sfide del turismo e rilanciare la loro economia, ripensando le città per renderle più attraenti per gli investitori e i talenti.

Il 42% del campione, inoltre, si è detto interessato a soggiornare in Italia per periodi che variano da 1 a 3 mesi, il 25% da 3 a 6 mesi, mentre il 20% sarebbe disposto a fermarsi anche per più tempo.

Ma se l’Italia ha di fronte questa grande opportunità, all’estero non stanno certo a guardare: secondo una recente ricerca del Mit Enterprise Forum, la Grecia potrebbe beneficiare di ben 1,6 miliardi di euro grazie al visto per nomadi digitali.

La piccola città di Ponga, nelle montagne settentrionali della Spagna, è invece pronta a offrire 2.970 euro a ogni persona e famiglia che vi si trasferisce, con un ambizioso piano che punta sui nuovi cittadini per sostenere l’economia locale di una cittadina che gode di 2.000 ore di sole all’anno.

Il fenomeno dei nomadi digitali è una grande opportunità anche per le aziende che hanno l’opportunità di attrarre talenti anche in altre nazioni. Non stiamo parlando di lavoro da remoto: il nomadismo digitale, infatti, favorisce il connubio tra desiderio di indipendenza, passione per i viaggi e sviluppo della propria professionalità.

Grazie al nomadismo digitale le aziende, quindi, non sono più vincolate dalla necessità di effettuare ricerche di personale a livello locale, ma possono orientarsi oltre i confini territoriali per individuare i candidati che abbiano le competenze che stanno cercando.

Cisco, per esempio, ha già avviato progetti di lavoro nomade a Venezia e nell’isola di Rodi, offrendo ai dipendenti la possibilità di vivere e lavorare per tre mesi come una persona del posto.

Un’opportunità che ha cambiato la vita dei dipendenti, ma ha anche introdotto nuove possibilità per queste località di abbracciare l’innovazione: qui, infatti, Cisco ha dotato biblioteche, musei e spazi artistici di tecnologie per il lavoro a distanza e di infrastrutture di rete che contribuiscono ad alimentare i servizi e le imprese locali.

Ma qual è il profilo di un nomade digitale? La ricerca dell’Associazione Italiana Nomadi Digitali ci racconta che i professionisti che hanno già sperimentato esperienze di nomadismo digitale sono principalmente dipendenti (52%) o collaboratori di aziende e presentano in media un alto livello di istruzione: il 42% ha una laurea e il 31% un master o un dottorato.

Inoltre, la maggior parte dei nomadi digitali e remote worker intervistati lavora in settori ad alto valore aggiunto, con competenze che spaziano dal mondo della comunicazione, all’insegnamento e all’information technology.

Motivo in più per attrarre queste figure professionali specializzate nel nostro Paese.

Crediti immagine: Depositphotos

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