Prometh2eus, progetto che prevede la produzione di idrogeno verde partendo dall’acqua di mare, con successiva produzione di etanolo, sta rapidamente passando dalla fase progettuale a quella operativa.
Abbiamo dunque voluto approfondire e capire meglio l’impatto di un lavoro tanto importante conla coordinatrice del progetto, Maria Paola Carpanese, docente di Fondamenti chimici delle tecnologie, e con Gabriella Garbarino, docente di Chimica industriale e tecnologica all’Università di Genova.
Quali sono gli obiettivi principali del progetto Prometh2eus e come potrebbe contribuire alla transizione verso un’economia più sostenibile?
Facciamo una premessa: per produrre idrogeno da elettrolisi dell’acqua occorre una fonte esterna di potenza elettrica; se l’idrogeno è verde, la potenza elettrica è necessariamente quella di una fonte rinnovabile; se produciamo metanolo a partire da idrogeno verde, otteniamo e-metanolo (diverso dal bio-etanolo).
Veniamo ora agli obiettivi del progetto: per riuscire a raggiungerli è fondamentale avere un elettrolizzatore efficiente e stabile.
A tal fine, abbiamo sviluppato un nuovo design, lo stiamo fabbricando ottimizzandone i parametri vitali e lo metteremo a breve in opera alimentandolo con acqua di mare e producendo H2 verde.
Il progetto prevede successivamente l’integrazione diretta dell’elettrolizzatore con un reattore catalitico (metanolatore) per la produzione di e-metanolo, alimentato da correnti di diossido di carbonio (CO2) provenienti da emissioni diverse (portuali, biogas, fumi di combustione).
Intendiamo costruire un impianto che sia sufficientemente flessibile da operare in modo efficiente (ovvero producendo una determinata quantità di idrogeno in maniera costante) in diverse configurazioni, adattandosi ai servizi che potrebbero essere diversi a seconda del posizionamento dell’impianto stesso.
Anche l’utilizzo di tecniche di produzione a costo contenuto e facilmente scalabili a livello industriale è una priorità del progetto, così come l’utilizzo di materie prime facilmente reperibili, in conformità con le attuali disposizioni europee sull’approvvigionamento dei materiali grezzi.
Quali sono le principali sfide tecniche e scientifiche che il progetto deve affrontare e come le state superando?
Le sfide tecnico-scientifiche sono molteplici, anche perché abbiamo tempo al massimo fino alla fine del 2025 per dimostrare di avere raggiunto gli obiettivi.
Se consideriamo il cuore del sistema, ovvero la cella di elettrolisi, essa è stata concepita seguendo un approccio nuovo: avrà una struttura che dovrebbe conferirle una robustezza meccanica superiore rispetto agli elettrolizzatori a ossidi solidi di tipo convenzionale.
Siamo convinti che si tratti di una struttura molto promettente e il gruppo, composto anche da molti giovani, sta lavorando per rendere rapidi ed efficaci tutti i processi di fabbricazione.
Tale struttura comporta l’utilizzo di tecnologie di fabbricazione relativamente nuove e quindi l’ottimizzazione di processi in tempi estremamente brevi. Verranno inoltre utilizzati catalizzatori selettivi, stabili e prodotti partendo da materie prime ecosostenibili.
Per tutto questo facciamo tesoro dell’esperienza raccolta negli anni precedenti, durante i quali il nostro lavoro sui sistemi elettrochimici e sulle celle a ossidi solidi è stato efficace e continuo.
Anche l’integrazione diretta fra elettrolizzatore e metanolatore è un punto delicato. Si tratta appunto di un’integrazione diretta, che preveda una totale flessibilità tra la corrente di idrogeno in uscita dall’elettrolizzatore e il suo ingresso come reagente nel reattore successivo, dove la reazione con la CO2 è prevista in condizioni ottimali.
La terza, importantissima sfida, è data dall’integrazione fra l’elettrolizzatore e la fonte rinnovabile. Il sistema di elettrolisi, nella sua nuova struttura, è progettato per rispondere con flessibilità alle variazioni tipiche di una rinnovabile, compensando le carenze di energia dovute a interruzione di corrente (non prevedibili nel caso di fonti intermittenti).
Sarà indispensabile affrontare questi aspetti tecnici con studi di modellazione teorica, per la quale il consorzio è altamente preparato.
Il risultato del progetto dipenderà da una proficua sinergia fra i tre gruppi di ricerca (UniGe, UniCa, UniBs), altamente qualificati per differenti competenze, attraverso uno scambio continuo e fluido di informazioni.
In che modo l’elettrolisi ad alta temperatura differisce dagli altri metodi di produzione di idrogeno verde e quali sono i vantaggi di questo approccio?
Di tutti i metodi per produrre idrogeno, l’elettrolisi dell’acqua è probabilmente il più pulito se combinato con una fonte di energia rinnovabile per produrre l’elettricità.
L’enorme scala su cui deve essere implementata l’elettrolisi (secondo gli obiettivi di decarbonizzazione dati dall’Eu per il 2050, e ai quali il Mite prima e il Mise poi hanno aderito, delineando una strategia italiana di lungo termine sulle riduzioni delle emissioni dei gas a effetto serra), significa che c’è senza dubbio spazio per le diverse tecnologie, in particolare l’elettrolisi alcalina (Aec), quella a membrana polimerica (Pem) e quella basata su celle a ossidi solidi (Soec).
Quest’ultima offre alcuni vantaggi rispetto alle tecnologie di elettrolisi alternative, vantaggi dovuti alle temperature elevate di esercizio (700-800°C) in quanto in tali condizioni si determinano una termodinamica e una cinetica di reazione favorevoli, consentendo efficienze di conversione senza pari (meno energia elettrica utilizzata, maggior idrogeno prodotto, a parità di acqua alimentata).
In altre parole a temperature più elevate la potenza elettrica richiesta alla rinnovabile viene ridotta, poiché l’inevitabile calore prodotto per effetto Joule viene utilizzato nel processo di scissione dell’H2O.
Un secondo vantaggio è dato dall’utilizzo di materie prime poco costose, al contrario di quanto accade negli elettrolizzatori che operano a bassa temperatura; terzo ma non ultimo, un elettrolizzatore che funziona ad alta temperatura può offrire naturale sinergia per una possibile integrazione diretta con le sintesi chimiche a valle, quali la produzione di metanolo, etere dimetilico, combustibili sintetici o ammoniaca.
Questa è una ricaduta importante al momento poiché l’H2 è attualmente ancora molto costoso da manipolare e stoccare.
Come si prevede di integrare la produzione di idrogeno con la produzione di metanolo, e quali sono i potenziali vantaggi di questa integrazione?
Il metanolo verrà prodotto nel reattore di metanolazione utilizzando CO2 anziché monossido di carbonio, CO, che è il composto tradizionalmente utilizzato (circa l’80% del metanolo prodotto su scala mondiale deriva da sintesi indiretta, ovvero da CO).
L’utilizzo di CO2 consente di intercettare le emissioni provenienti da diversi contesti e di inviarle direttamente al reattore; la reazione a partire da CO2, inoltre, produce calore, che potrebbe essere recuperato all’interno del processo.
Come funziona il processo di produzione di idrogeno verde dall’acqua di mare attraverso elettrolisi ad alta temperatura integrata in un processo power-to-MeThanol?
La produzione di idrogeno da acqua di mare avviene inviando il vapore prodotto dall’acqua di mare stessa, direttamente alla pila di elettrolisi; i possibili – seppur pochi – trascinamenti di eventuali elementi contenuti nell’acqua di mare (in particolare verrà utilizzata quella del mare antistante Genova) richiedono l’utilizzo di catalizzatori stabili (chimicamente), selettivi e, ovviamente, con alte prestazioni stabili per decine di migliaia di ore.
Test di stabilità su migliaia di ore sono effettivamente previsti nell’ambito del progetto per il sistema di elettrolisi. L’idrogeno prodotto viene direttamente inviato al secondo reattore dove, reagendo con CO2, produce metanolo (e acqua).
Quali sono i principali vantaggi dell’utilizzo di idrogeno verde e del metanolo rispetto ad altre fonti di energia?
Come accennato in precedenza, molti paesi, soprattutto fra quelli occidentali ed economicamente sviluppati, stanno promulgando politiche in favore di una decarbonizzazione del settore energetico, perseguendo l’utilizzo di combustibili a zero emissioni, ma anche efficienti metodi di immagazzinamento di energia elettrica (che non può essere immagazzinata così com’è).
In questo scenario l’importanza dell’idrogeno sta rapidamente crescendo, da quando si è compreso che può diventare un combustibile per i mezzi di trasporto, ma anche un valido vettore energetico, ovvero un composto attraverso il quale l’energia può essere immagazzinata e poi riottenuta in modo efficiente, tutto questo a patto di utilizzare fonti rinnovabili per la sua estrazione dell’acqua.
Abbiamo già detto che l’elettrolisi dell’acqua a partire da corrente da rinnovabili è il metodo più pulito per produrre idrogeno; se, inoltre, ci mettiamo nelle condizioni di utilizzare acqua non pura, la nostra fonte di H2 è praticamente inesauribile e a disposizione di tutti.
La proprietà che rende l’H2 preferibile rispetto ad altre fonti è che, quando utilizzato come combustibile, non emette alcun composto carbonioso, ma soltanto acqua.
E questo è vero sia che venga utilizzato in modo diretto come combustibile in un motore a combustione, sia che venga utilizzato in modo elettrochimico dopo essere diventato appunto un vettore energetico, in questo caso può essere conservato e utilizzato dove e quanto si vuole per produrre energia in una cella a combustibile (fuel cell).
Una volta trasformato in acqua, dalla stessa acqua lo si può riottenere, attraverso l’elettrolisi (che genera un processo inverso a quello che si svolge in una fuel cell).
Il fatto che l’idrogeno sia destinato a diventare il combustibile del futuro è ampiamente accettato e auspicato, vi sono tuttavia alcuni problemi tecnici di non immediata soluzione relativi alla sua movimentazione (pensiamo alla realizzazione di idrogenodotti), nonché al suo utilizzo (importanti modifiche da apportare ai sistemi di trasporto: auto, navi, aerei).
A causa di tali problematiche l’economia dell’idrogeno sarà praticabile nel medio-lungo periodo. A questo punto risulta chiara la scelta di trasformare l’idrogeno verde in composti più complessi ma più facilmente immagazzinabili e movimentabili, quali il metanolo.
Il metanolo è un vettore energetico liquido, facilmente trasportabile e può essere ottenuto a valle di un processo di elettrolisi facendo reagire l’H2 con la CO2 contenuta in correnti di scarto di varia provenienza (è quanto si cerca di realizzare nel progetto Prometh2eus).
Si tratta in questo caso di e-metanolo, ovvero di metanolo prodotto da idrogeno verde. Il metanolo è anche oltremodo interessante per l’industria chimica, perché costituisce la materia prima per la sintesi di olefine, dimetiletere o altri combustibili più complessi (gasolio, carburante per jet, diesel).
Un suo eventuale utilizzo come combustibile avrebbe una emissione netta di CO2 pari a zero, essendo stato sintetizzato da una corrente di CO2 intercettata prima di essere immessa nell’atmosfera.
In che modo l’Università di Genova sta collaborando con altre istituzioni accademiche e con aziende per promuovere la ricerca e lo sviluppo dell’idrogeno verde in Italia e in Europa?
L’Università di Genova è attenta ai suoi obiettivi e ha fra le proprie missioni quella di partecipare ed essere di stimolo alla ricerca e all’innovazione per preparare gli studenti al loro futuro ruolo nella società.
Il nuovo panorama energetico che si sta rapidamente delineando avrà un impatto enorme sul futuro prossimo dal punto di vista sociale, professionale, economico; non solo UniGe partecipa attivamente a progetti centrati sulla produzione di idrogeno verde e sul suo utilizzo, ma è fortemente impegnata a sostenere i docenti per favorire il trasferimento di tali risultati al settore industriale.
Non si tratta solo di valorizzare i risultati della ricerca, ma soprattutto di svolgere un ruolo da protagonista in un ambito che deve essere strategico per ogni virtuoso istituto di ricerca per i prossimi anni.
UniGe è capofila del progetto Prometh2eus, PROduzione di H2 verde da acqua di mare tramite elettrolizzatore innovativo ad alta temperatura con integrazione in processo power-to-METhanol.
L’Università di Genova è capofila di un partenariato, coordinato dalla prof.ssa M. Paola Carpanese, che comprende l’Università di Cagliari e l’Università di Brescia.
In figura viene riportato uno schema illustrativo dell’impianto che verrà installato nei laboratori dell’Università di Genova dove vi è la stretta collaborazione tra il Gruppo di Elettrochimica (coordinato da Maria Paola Carpanese, docente UniGe di Fondamenti chimici delle tecnologie) e il Gruppo di Catalisi (coordinato da Gabriella Garbarino, docente di Chimica industriale e tecnologica) del Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica e Ambientale – Dicca e vede la partecipazione anche del Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale – Dcci (prof.ssa Paola Riani, Docente di Chimica Inorganica e componente del Gruppo di Catalisi).
Quali sono i risultati finora ottenuti dal progetto e quali sono i vostri piani futuri?
I risultati ottenuti sono in linea con il piano di sviluppo presentato; le principali attività che attualmente sono in corso riguardano la fabbricazione dell’elettrolizzatore su scala di laboratorio, la sintesi dei catalizzatori e il loro screening, lo sviluppo del modello della cella di elettrolisi che, come anticipato, è dotata di una struttura innovativa che deve essere accuratamente ottimizzata.
I nostri piani futuri nei prossimi due anni saranno dettati dall’attività già pianificata nel progetto; sentiamo di avere una notevole responsabilità sull’utilizzo delle risorse che ci sono state affidate.
Ciascuna unità (Genova, Cagliari, Brescia) dovrà svolgere il proprio ruolo coordinandosi con le altre, attraverso uno scambio continuo di dati e di informazioni che non potrà lasciare spazio all’improvvisazione.
Quali sono le implicazioni del progetto per la transizione ecologica e la sostenibilità a livello nazionale e internazionale?
Dal punto di vista della ricerca industriale e dello sviluppo sperimentale, diversi sono gli impatti implicati:
- la sintesi di nuovi materiali elettrocatalitici, ottimizzati per avere alta attività in condizioni operative gravose, fornirà indicazioni utili allo studio di nuovi materiali per la catalisi eterogenea in presenza di inquinanti
- la realizzazione di una struttura innovativa di cella, prodotta con tecniche facilmente scalabili, indurrà lo studio di nuove strutture volte al perseguimento della stabilità meccanica della cella di elettrolisi stessa
- il modello teorico, integrato con le tecniche sperimentali, migliorerà la conoscenza da parte dei sistemi di elettrolisi di seguire profili di carico variabili e di integrarsi con impianti a fonti rinnovabile
In sintesi, i risultati del progetto dovrebbero rafforzare la comunità rivolta alla ricerca, riducendo il divario tra teoria e applicazioni pratiche, su una tecnologia oggi centrale nello scenario internazionale.
Quali sono le opportunità di applicazione dell’idrogeno verde in Italia e in Europa e come il progetto Prometh2eus potrebbe contribuire a sviluppare questo mercato?
Il Ministero della Transizione Ecologica (Mite) aveva delineato il percorso italiano dello sviluppo dell’idrogeno, in sinergia con la Strategia Europea, attraverso le Linee Guida Preliminari per la Strategia Nazionale Idrogeno del 24 novembre 2020 e, successivamente, con la Strategia Italiana di Lungo Termine sulla Riduzione delle Emissioni dei Gas a Effetto Serra del 2021, adducendo tra le leve attivabili per raggiungere entro il 2050 la neutralità climatica, quella di un “cambio radicale nel mix energetico a favore delle rinnovabili, coniugato a una profonda elettrificazione degli usi finali e alla produzione di idrogeno, da usare tal quale o trasformato in altri combustibili, anche per la decarbonizzazione degli usi non elettrici“.
In altre parole, dobbiamo indirizzare la produzione energetica verso l’utilizzo sempre più ampio di rinnovabili. Alcuni analisti prevedono che la produzione di energia rinnovabile aumenterà del 20% (+2 TWh) entro il 2025 rispetto ai livelli del 2021.
Ciò sarà guidato principalmente dalla forte crescita del solare fotovoltaico. Il minore consumo di elettricità, insieme alla rapida espansione delle energie rinnovabili, ridurrà la dipendenza dell’Italia dall’energia termica.
Si prevede che il carbone verrà gradualmente eliminato entro il 2025, mentre si prevede che la produzione a gas diminuirà a un tasso medio del 4,5% all’anno tra il 2023 e il 2025.
In questo contesto, la produzione di idrogeno da rinnovabili (soprattutto quando l’offerta di energia supera la domanda) diventa un punto cruciale: producendo idrogeno da elettrolisi e immagazzinandolo, magari quando l’energia prodotta dalla rinnovabile supera il picco della domanda, si accantona un vettore energetico, che all’occorrenza potrà fornire energia elettrica in una cella a combustibile.
Si avrebbe a disposizione un ammortizzatore in grado di compensare le intermittenze o le variazioni tipiche delle rinnovabili.
Ci si propone di progettare un sistema abbastanza flessibile da adattarsi rapidamente alle variazioni che potrebbero venire dai sistemi ad esso collegati. Queste sono soltanto alcune delle sfide. Ma dobbiamo fare presto.
Quali sono le competenze e le risorse necessarie per sviluppare questo tipo di tecnologie?
Il cuore del sistema è una cella a ossidi solidi. Si tratta di un dispositivo realizzato totalmente con materiali ceramici (avete presente le piastrelle che si realizzano a Faenza? Ecco, quel tipo di materiale, anche se, ovviamente, di composizione diversa).
Per fabbricarlo sono necessarie competenze di scienza dei materiali, ma anche di elettrochimica dello stato solido. Il nostro oggetto è inserito in un sistema più ampio, dove deve interagire con un reattore per la produzione di metanolo. E qui entrano in scena la catalisi e la cinetica chimica.
La connessione diretta fra elettrolizzatore e metanolatore è una vera e propria sfida, quindi occorrono competenze di ingegneria chimica e di processo; ma è indispensabile avere una visione locale e di insieme, a seconda del punto in esame, che viene fornita dall’analisi con modelli matematici, in un continuo scambio tra la parte sperimentale e la modellazione.
All’interno del consorzio tutte queste competenze sono ben distribuite, il clima di lavoro è eccellente e cerchiamo di evitare ridondanze e sovrapposizioni.
Gioca un ruolo di supporto estremamente importante la nostra parte amministrativa: le risorse in gioco, come dicevo, sono notevoli e la raccolta dei documenti, le procedure da attivare costituiscono un punto importante affinché l’intero ingranaggio giri in modo scorrevole.
Come vede il ruolo delle università e della ricerca scientifica nella transizione ecologica e nello sviluppo di tecnologie sostenibili?
Il ruolo di università ed enti di ricerca è sicuramente un ruolo primario. È accertato, comunque la si pensi, il fatto che negli ultimi decenni l’umanità abbia contribuito a scombinare gli equilibri della Terra.
Per trovare una soluzione, non si può esulare da un punto di partenza scientifico, da qui la centralità del ruolo dell’università. Credo che sia soprattutto nostra la responsabilità di comprendere a fondo quali sono le emergenze da affrontare.
Credo che dovremmo farlo in modo onesto, senza pregiudizi o condizionamenti, ognuno nel proprio ambito. E poi dovremmo svolgere il ruolo di informatori chiari e credibili, verso la politica e verso la società, affinché chi deve prendere decisioni possa farlo basandosi su dati con altissima probabilità di certezza.
Credo che sia nostra la responsabilità di spingere i giovani (almeno quelli che accompagniamo durante il corso di studi) a guardare oltre l’orizzonte e a diventare padroni dei propri mezzi, perché saranno loro a trovarsi nel bel mezzo di un cambiamento epocale e saranno loro a doverlo gestire.