Con le recenti norme sullo sport tra lavoro e Costituzione, gli esperti dimostrano come l’attività fisica faccia bene anche in azienda.
Che lo sport faccia bene è ormai un fatto scientifico ben consolidato nella nostra società. Per questo è utile svolgere attività fisica appena se ne ha l’occasione. Persino nei luoghi di lavoro.
L’Italia questo lo ha capito e ha deciso di portare alcune importanti modifiche nella normativa nazionale. E soprattutto nella Costituzione.
Lo sport inserito nella Costituzione
Lo scorso 21 settembre la Camera ha approvato in via definitiva e all’unanimità la proposta di legge costituzionale che inserisce la tutela dello sport nella Costituzione.
Con 312 sì, il testo è composto di una sola norma che si aggiunge all’articolo 33, dove si parla di arte e scienza. Recita così: “La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme“.
Con quest’aggiunta, che mancava sin dal testo originale del 1948, l’Italia entra nel team dei Paesi europei che cita lo sport nella sua carta fondamentale insieme a Bulgaria, Croazia, Grecia, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna e Ungheria.
La riforma dello sport in 16 punti
Il Parlamento si è poi attivato nello stilare sedici punti per la cosiddetta Riforma del lavoro sportivo, che riguarda nello specifico le associazioni, le società sportive dilettantistiche e i rispettivi lavoratori.
La normativa concede – con le dovute valutazioni – l’iscrizione al registro delle attività sportive dilettantistiche a cooperative ed enti iscritti al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore.
Si estende per un massimo del 50 percento la facoltà di destinare gli utili per società e associazioni dilettantistiche.
Si amplia la nozione di lavoratore sportivo, inserendo nuove figure che rientrano nella categoria: per esempio manager, addetti agli arbitri, segretari generali, osservatori, data scientist, collaboratori tesserati.
Vengono definiti i parametri per il volontario sportivo, mentre scattano la digitalizzazione del lavoro sportivo e i contratti di apprendistato professionalizzante tra i 15 e i 23 anni d’età.
Oltre a diverse agevolazioni fiscali introdotte, nonché bonus e proroghe per associazioni e società, viene abolito il vincolo sportivo per il dilettantismo e sono introdotte novità su controlli e assicurazioni contro gli infortuni.
Previste anche nuove regole sui direttori di gala con rimborsi forfettari, l’istituzione di un Osservatorio nazionale al Dipartimento dello sport e una normativa per i rapporti di rappresentanza tra atleti e società.
Spazio infine alle discipline sportive invernali con nuove regole per le piste da sci e un regolamento sulle attività diverse, secondarie e strumentali dele società sportive dilettantistiche.
Lo sport che fa bene anche al lavoro
Luca Foresti, Ceo di Santagostino, e Matteo Musa, co-founder di Fitprime, riflettono nel merito sul ruolo dello sport associato al lavoro.
Partendo dal presupposto che l’attività fisica riduce il rischio di morte del 46 percento, ricordano che secondo lo studio del Carle Illinois College of Medicine esistono otto abitudini che possono allungare la vita di quasi mezzo secolo.
Si tratta di avere relazioni sociali positive, non fumare, evitare la dipendenza da oppioidi, seguire una dieta sana, non bere alcolici in maniera regolare, dormire bene, gestire lo stress e, naturalmente, fare attività sportiva.
Un elenco che si interfaccia con i dati validi per l’Italia: 20 milioni di persone su 58 in totale fanno sport, quindi un terzo della popolazione.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità la sedentarietà è causa del 9 percento delle malattie cardiovascolari, dell’11 di diabete di tipo 2, del 16 di tumore al seno e al colon-retto.
Tutte sommate, le probabilità si traducono in 3,8 miliardi di euro come costo sanitario annuo per la sedentarietà in Italia. Un problema che potrebbe essere prevenuto facendo sport.
È qui che entrano in gioco le aziende attraverso un concetto di welfare che include attività che migliorano lo stile di vita, ossia il wellbeing.
Negli ultimi 12 mesi le aziende che lo praticano sono raddoppiate, ma restano comunque appena il 18,2 percento: meno di un quarto delle realtà italiane hanno strategia chiara in merito.
Santagostino osserva che se per un’azienda sia facile decidere di pagare una campagna vaccinale anti-influenzale, non si osserva una statistica certa per il weelbeing.
L’osservatorio Wellbeing&Corporate di Fiprime evidenzia invece che chi inizia a fare sport prova maggior benessere (86,1%), riduzione dello stress (56,1%) e un miglioramento nella performance lavorativa (13%).
Quindi ci sono diversi strumenti che le aziende possono mettere in pratica: la comunicazione per un meccanismo d’influenza reciproca, l’evoluzione del welfare aziendale ed eventi sportivi organizzati dalla stessa realtà (anche per fare team building), dedicando anche spazi aziendali allo sport adibendoli a piccole palestre.
Ed ecco come il connubio tra sport e lavoro, a conti fatti e oltre le recenti normative italiane, può portare un beneficio sulle casse dello Stato e al corpo e alle menti di milioni di persone.