I rischi della coabitazione tra uomo e animali selvatici si palesano a volte in incidenti mediatici che, subito, scatenano polemiche e richieste di intervento. La verità, però, è che l’antropizzazione degli ambienti naturali nega agli animali selvatici il loro habitat naturale.
L’immagine di questa coabitazione ormai forzata tra uomini e animali selvatici è rappresentata da una famiglia di cervi che attraversa una strada in mezzo a una foresta… noi uomini descriviamo la scena come sopra.
La realtà è che la strada attraversa la foresta e i cervi, semplicemente, percorrono quello che dovrebbe essere il loro habitat naturale per spostarsi. Siamo noi che dobbiamo loro attenzione, non il contrario…
Su questo tema, delicato, interviene Mario Serpillo, presidente nazionale dell’Unione Coltivatori Italiani (Uci), con una lettera aperta, che riceviamo e pubblichiamo su GreenPlanner.it.
Fauna selvatica, incidenti perché manca habitat naturale
“Gli animali di montagna sono ormai spaesati e senza casa perché l’asfalto e il cemento li hanno sfrattati da tane e boschi. Negli ultimi trent’anni, Comuni e Regioni hanno abbandonato la gestione del territorio di montagna affidandola, di fatto, all’intervento antropico che, come sappiamo, è sempre portatore di interessi privati e non sistemici.
Chi è in grado di affermare che 100 orsi siano troppi per il Trentino? Il troppo è un giudizio umano sulla base della percezione di un danno immaginato in proiezione futura. In realtà, la macchina perfetta della Natura regola da sé il rapporto di sopravvivenza della specie, che si riproduce in base alle risorse naturali a sua disposizione (cibo, acqua, rifugi, spazi…), in un equilibrio sostenibile.
Potremmo dire che l’uomo ha, sistematicamente, depredato soprattutto gli ungulati, mettendo in pratica una sorta di land grabbing verso gli animali selvatici, togliendo loro campo, territorio, rifugio, cibo. In una parola, l’habitat naturale.
Siamo altresì consapevoli dei danni che alcune specie arrecano alle coltivazioni, ma questo è altro argomento che abbiamo più volte affrontato nelle sedi opportune, proponendo soluzioni e progetti nel rispetto della biodiversità.
È vero che abbiamo assistito a tassi di riproduzione della fauna selvatica elevati, ma la conta degli incidenti ha altrettanto subito una decisa impennata negli ultimi anni! Il fenomeno distorce anche le statistiche degli Istituti zooprofilattici regionali (sono davvero 7 i plantigradi trovati morti nella Provincia Autonoma di Trento nel 2023?) poiché un orso o un cervo uccisi in un incidente stradale spesso saltano la procedura istituzionale e sfuggono, per talune logiche, ai numeri ufficiali, andando a configurare lo spiacevole fenomeno delle morti bianche degli animali selvatici, morti che vengono taciute alle Comunità locali e alle statistiche veterinarie.
Non vogliamo dimenticare la tragica fine dell’orsa Daniza, morta nel 2014 perché non sopravvissuta a un sedativo somministratole durante la sua cattura. L’ennesima vittima dell’uomo stesso: uno splendido esemplare che non c’è più perché si è drammaticamente perso il legame sano tra uomo e territorio e con esso anche ideali e vedute di coesistenza integrata.
I colpevoli non possono certamente essere gli animali, che da sempre nel bosco vivono e si riproducono. Abbiamo invaso il loro spazio vitale, ci siamo spinti troppo in avanti, rendendo abitabili aree che non lo erano e interrompendo così gli equilibri della catena alimentare montana.
L’uomo è il responsabile di tutto, della scomparsa dei pascoli e del cibo per la fauna locale, che si vede costretta ad avvicinarsi ai villaggi per reperire sostentamento. È il momento di passare a una gestione vera del territorio, integrata con le attività umane ma comunque attenta alla biodiversità e all’inclusione dei vari mondi naturali in un nuovo ordine, che potremmo quasi definire in co-gestione tra uomo e fauna.
Abbiamo abbandonato il territorio per troppo tempo, demandandone la gestione al falso mito dello sviluppo. Adesso è il momento di recuperare!“.
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