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Life cycle assessment: arriva al nocciolo dell’agricoltura 4.0

innovazione agricola
Foto di Nasah Rwafa da Pixabay

Un nuovo strumento conoscitivo permette di tracciare il Life Cycle Assessment (Lca) su 15 tipologie di coltivazioni. Lo propone Quantis che ci spiega come agisce il metodo geoFootprint

Conoscere il Life cycle assessment del settore agricolo è forse la maniera più adeguata per indagare con precisione i comportamenti che hanno le colture sull’impatto ambientale.

È ormai noto, infatti, che anche il comparto agricolo ha una notevole incidenza sulla produzione dei gas serra. Ma non solo: molte sono le incognite legate allo sviluppo dell’agricoltura di fronte ai cambiamenti climatici: il salto conoscitivo è sempre più necessario.

Viene in aiuto una soluzione che combina i dati delle immagini satellitari con metriche ambientali. Una mappatura continua associata a un database di conoscenze utili a completare i dati e le informazioni dei prodotti agroalimentari.

È questo il cuore di geoFootprint, una soluzione che nasce dalla collaborazione con più di 25 partner pubblici, privati e accademici. A proporla è Quantis, realtà nata come startup nel 2006 in seno al Politecnico di Losanna.

Per saperne di più Greeplanner.it ha incontrato Simone Pedrazzini, direttore di Quantis Italia che al momento sta lavorando sull’analisi di 15 colture, che includono orzo, cotone, mais, palma da olio, arachidi, patate, colza, riso, segale, sorgo, soia, barbabietola da zucchero, canna da zucchero, girasole e frumento.

L’agricoltura – ci rammenta – è responsabile di oltre il 20% delle emissioni totali di gas serra mentre il settore Food & Beverage, secondo la nostra ricerca, può arrivare a rappresentarne circa il 28%. Tutti gli attori, pubblici e privati, della filiera del cibo, sono però consapevoli di poter giocare un ruolo chiave quali attori del cambiamento rispetto alle sfide della sostenibilità. L’impatto di carbonio, ma anche la scarsità d’acqua, la perdita di biodiversità, l’uso del suolo e l’eutrofizzazione“.

Ma torniamo al tema dell’Lca in agricoltura Pedrazzini: perché e come conviene attuare analisi di Life Cycle Assessment sulle coltivazioni?

Il Life cycle assessment è lo strumento che ci aiuta a capire gli impatti ambientali dell’agricoltura. Quantificati gli impatti è, di conseguenza, possibile identificare quali sono le azioni necessarie per minimizzare questa impronta ambientale.

Se prendiamo l’esempio della sfida climatica, le nostre analisi, sintetizzate nel report Dig In dimostrano come il sistema alimentare globale sia responsabile di circa il 28% (e potrebbe contribuire fino al 35%) delle emissioni globali di gas serra.

L’agricoltura e i relativi cambiamenti nell’uso del suolo (così come i fertilizzanti, i pesticidi e il concime) sono le cause principali di queste emissioni e contribuiscono per l’87% circa alle emissioni totali del sistema alimentare (24% delle emissioni globali).

La trasformazione del sistema alimentare è pertanto una leva critica a nostra disposizione per mantenere il riscaldamento climatico planetario entro il limite di 1,5°C, proteggendo in questo modo la sicurezza alimentare dei suoi abitanti.

Partire da analisi condotte sulla base di metriche condivise e di solide basi scientifiche è il miglior modo, a nostro parere, per procedere nell’indirizzare il tema della sostenibilità; tanto attuale e dibattuto da correre il rischio di diventare una buzzword, svuotata del suo significato più profondo. Con un celebre aforisma: “non si può gestire ciò che non si è misurato“.

Voi come operate per dare dati precisi al raccolto?

Il nostro consiglio, per chi decida di approcciare il vasto tema delle metriche, è quello di utilizzare database di settore scientificamente solidi – posso menzionare il nostro World Food Lca Database (Wfldb) o altri, quali Agrifootprint, Agribylase ed ecoinvent – per accedere a dati ambientali accurati e trasparenti per calcolare l’impronta (emissioni di CO2, acqua, uso del suolo, biodiversità e altro ancora) dei prodotti e dei processi alimentari e agricoli lungo la catena del valore agroalimentare, tenendo come punto di riferimento il Paese di origine.

Si tratta di una tipologia di dati generica, che fornisce medie a livello nazionale per prodotti e processi piuttosto che dati specifici per la specifica supply chain di un’azienda, consentendo tuttavia una valutazione completa dei punti chiave degli hotspot all’interno della catena del valore agroalimentare.

Partendo da questo livello di granularità, che attesta la baseline e l’impatto iniziale dell’azienda, le aziende agricole possono così avviare un processo, anche interno, science-based.

Per comprendere meglio le sfide e le opportunità della propria supply chain e comunicare in modo credibile l’impatto degli interventi attuati, uno step successivo prevede il restringere l’ambito geografico dei dati, concentrandosi sulle regioni in cui operano o, addirittura, focalizzando sulle aziende agricole e le piantagioni con cui lavorano.

La complessa interazione tra parametri sensibili dal punto di vista geografico (clima, precipitazioni, pendenza) e le pratiche di gestione delle colture ha infatti un grande impatto sul tipo e sulla quantità di risorse naturali impiegate per la produzione, sugli input necessari e sulle emissioni (CO2, azoto, fosforo…) rilasciate nel suolo, nell’aria e nell’acqua.

Progetti di visualizzazione come il nostro tool geoFootprint, che combina i dati delle immagini satellitari con oltre 20 metriche ambientali per visualizzare l’impronta ambientale di 15 colture di materie prime chiave su una mappa del mondo interattiva, fino alla scala di 10x10km forniscono dati ancora più granulari, informazioni indispensabili per il processo decisionale strategico.

geoFootprint consente anche valutazioni comparative tra le performance medie di un territorio e quelle della singola azienda agricola. Ancora una volta, attraverso i dati, si aprono scenari per prese di decisioni oggettive.

A che punto siamo in Italia con questo genere di conoscenze?

Il mercato italiano è molto ampio e, pertanto, per definizione disomogeneo. Collaboriamo da anni con attori di primo piano della filiera del food, che hanno sviluppato una sensibilità ambientale poi estesa a tutta la loro supply chain.

Che quindi conoscono le condizioni di fornitura e di gestione di metriche ambientali sin dentro le singole aziende agricole.

Stessa competenza possono vantare realtà locali – associative quali consorzi, piccole, medie e grandi realtà agricole di proprietà familiare e non – e siamo felici di constatare come in Italia ci siano nuove leve di agricoltori attenti alle evoluzioni della tecnologia, che dimostrano come l’innovazione agrifoodtech non arrivi solo sul portato di modelli esteri, ma dalla positiva attivazione del territorio.

Allo stesso modo però ci sono ancora ampi margini per la diffusione di competenze verticali sulla sostenibilità ambientale, legate a modelli di misurazione quantitativa e ad analisi.

Con geoFootprint speriamo poter contribuire concretamente alla diffusione di queste conoscenze in modo da favorire una transizione verso un sistema in linea con i limiti planetari.

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