L’evoluzione della produzione, da lineare a circolare, pretende che si faccia crescere sempre più una cultura del riuso, perché le materie prime seconde diventino parte integrante del processo.
Quanto vale un prodotto realizzato partendo da un materiale di scarto? Gli scarti delle lavorazioni a volte possono non essere considerati dei rifiuti, quindi da destinare allo smaltimento, perché è possibile un loro reimpiego per attività o lavorazioni ben determinate.
La sfida che dobbiamo affrontare è quella di saper trasformare la cultura del rifiuto nella cultura dello scarto e del riuso, attraverso una sinergia tra tutti gli stakeholder impegnati nella filiera di produzione, vendita e distribuzione dei materiali tradizionali.
Come facciamo a dare valore ai materiali di scarto? Questa domanda è il driver per le imprese che generano scarti e che devono prendere in considerazione per preservare il valore economico dei sottoprodotti che vengono generati durante le fasi di produzione.
Rendere concreto il concetto di economia circolare e portare le imprese, ma anche gli amministratori locali e i cittadini, a una riflessione. Ridare valore a un prodotto realizzato con materiali di scarto significa dunque:
- promuovere e diffondere l’impiego di indicatori di impatto ambientale oggettivi, semplici e comunicabili
- incoraggiare le politiche economiche e i sistemi di incentivi e disincentivi, che favoriscano il mercato primario e secondario di questi prodotti
- favorire l’innovazione tecnologica e promuovere delle tecniche che facilitino il recupero di scarti trasformandoli in nuovi prodotti, questa come best practice
- promuovere delle politiche di comunicazione trasparente, che indichino il risparmio di CO2 dei nuovi prodotti
Quello che è considerato rifiuto in realtà può essere utilizzato come sottoprodotto o come end of waste, con importanti benefici anche dal punto di vista ambientale e socio-economico.
La normativa e le buone pratiche per gestire i rifiuti e i sottoprodotti
Gli aspetti normativi dei sottoprodotti sono regolamentati dall’articolo 184-bis del D.lgs. 152 del 2006 che lo definisce come “sostanza od oggetto originato da un processo di produzione, che potrà essere utilizzato anche in un successivo processo di produzione o di utilizzo, da parte del produttore o di terzi, o utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale. L’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana” spiega Claudio Freddi, responsabile del Nucleo Operativo Attività di Vigilanza Ambientale del Corpo forestale regionale, intervenuto al seminario Rifiuto o valore? Trasformare gli scarti industriali in sottoprodotti, organizzato da Area Science Park e Confindustria Alto Adriatico, nell’ambito del progetto di rete Enterprise Europe Network, in collaborazione con la Regione Friuli Venezia Giulia.
Ma chi decide se un rifiuto è o meno un sottoprodotto? I produttori dei rifiuti, i consulenti ambientali, i gestori di impianti di recupero e smaltimento, i responsabili tecnici, gli operatori del settore ambientale.
Due dei settori con maggiore produzione di scarti sono il settore edile e quello del food and beverage. Entrambi però sono anche potenziali fonti di innovazione riguardo al riutilizzo dei materiali di scarto.
Se da una parte, gli scarti organici derivanti dalle attività di trasformazione industriale del food & beverage, esclusi gli imballaggi, sono oggi considerati, per buona parte, materiale di alto valore economico, gli scarti di un’industria come quella edile, sono considerati rifiuti e destinati a filiere di smaltimento e non di recupero.
Nell’industria agroalimentare, i gusci o i noccioli di albicocca e pesca possono essere utilizzati come biomasse combustibili o in impianti per la produzione di biogas.
Anche il sale derivante dalla salatura delle carni e i residui verdi consistenti in tutoli, foglie, brattee derivanti dalla lavorazione del mais dolce, sono impiegati nel settore agroalimentare come sottoprodotti.
Come anche le polveri e gli impasti da ceramica cruda che dopo un processo di macinazione a umido vengono usate per realizzare un impasto in uso nell’industria della ceramica.
Così anche come i residui della lavorazione di materie plastiche che possono essere stoccati in appositi contenitori e inviati poi alla macinazione. E troviamo anche la pizza, gustosa per il palato e che può far bene anche all’ambiente.
Lo ha ben compreso Roncadin, l’azienda produttrice di pizza surgelata, da poco più di un anno diventata anche Società Benefit, che pone una forte attenzione alla filiera produttiva “sempre più sostenibile, corta, locale e che favorisce produttori attenti alla qualità, alla sostenibilità e al benessere dei lavoratori” come ci dicono Marco Giacomello e Laura Magris.
A dimostrazione di questo percorso green va citato il primo bilancio di sostenibilità, il premio Coop for Kyoto, un parco auto aziendale che si sta convertendo totalmente all’elettrico, sistemi di recupero delle acque di scarico e di efficientamento energetico sui tunnel di surgelazione, per un abbattimento delle emissioni pari a meno di 600 tonnellate di CO2 all’anno, iniziative a tutela della biodiversità come l’apiario aziendale con oltre seicento mila api.
Grande attenzione anche agli imballaggi: l’80% del packaging proviene da materiali riciclati e, per alcune linee di prodotto, le confezioni sono realizzate al 100% con carta riciclata e riciclabile, con film interno protettivo 100% compostabile.
E poi ancora, l’adesione alla campagna etichetta consapevole di Too Good To Go che sensibilizza i consumatori contro lo spreco alimentare.
Tutto ciò ha portato alla riduzione del consumo di kWh, ridotto di circa il 20%, pari a circa 1,5kg di CO2 prodotta in meno per ogni singolo prodotto di pizza.
Se poi facciamo un salto in Europa, troviamo il progetto Rustica, finanziato dal programma di ricerca Horizon2020 di cui ci parla Federica Cisilino del Crea, che con una dozzina di partner internazionali, hanno progettato nuovi fertilizzanti organici per far fronte alle necessità di una nuova forma di agricoltura che punta alla conversione di residui organici del settore orto-frutticolo.
E sempre a favore dell’agricoltura che si avvale dell’energia per produrre, ci possono essere delle opportunità a favore dell’ambiente che derivano da una nuova forma di energia, il biogas.
“Il biometano è tra le principali fonti rinnovabili che contribuiranno al graduale abbandono delle fonti energetiche fossili. La piattaforma di impianti di BioEnerys, al 2026, avrà una capacità installata di circa 100 MWeq per una produzione di oltre 200 milioni di standard metri cubi di biometano, coprendo una quota di circa il 10% del mercato nazionale – spiega Alessandro Valentini di Ies Biogas che aggiunge “massimizzare la produzione di biogas da tutte le matrici disponibili, matrici solide, semisolide e liquide, ottimizzare l’utilizzo dei sottoprodotti, minimizzare i costi operativi e gli scarti secondo il principio del Zero Liquid Discharge“.
Quindi anche in questo caso ci viene in soccorso la tecnologia applicata per far fronte alle emergenze ambientali, non buttando via tutto, anzi, riutilizzandolo: nuova vita a nuovi sottoprodotti.