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La carta di Amalfi si produceva in pura economia circolare

pubblicato il: - ultima modifica: 12 Maggio 2019
museo della carta di amalfi

Nei tempi antichi la carta di Amalfi era pregiata e prodotta con certosina cura e passione utilizzando gli scarti della lavorazione di altre materie prime… un primo vero esempio di economia circolare

La bell’Amalfi che fu pure repubblica marinara, divenne anche patria della carta e delle cartiere. Qui si produceva la carta chiamata bambagina.

Che nasceva dagli scarti della stoffa (naturale e quindi di cotone, canapa o lino); utilizzando l’urina (anche questa recuperata addirittura dai vespasiani) e lavorata anche con una colla che era prodotta con gli scarti dei conigli.

L’energia per produrla la dava l’acqua, quella che passava per la ruota del mulino. La bambagina era, quindi, due volte pregiata. Ancora più naturale perché prodotta senza alcuna materia prima. Fatta solo di scarti. Che dava lavoro anche a una filiera del recupero ante litteram.

Ad Amalfi ora c’è un museo, il Museo della carta, che testimonia il bel processo di questa lavorazione. Il direttore del museo è Emilio De Simone che ci accompagna nella scoperta di un mestiere antico che anticipava i buoni principi dell’economia circolare.

La storia di questa questo museo che ha al suo interno macchinari originali ancora oggi funzionanti a energia idraulica” ci racconta De Simone mente ci fa strada nei meandri di un antico edificio “si intreccia per ovvi motivi con la storia del magister in arte cartarum Nicola Milano, ultimo discendente della storica famiglia di cartari amalfitani che ha cessato di produrre carta nel 1969. È una storia a tratti tristi poiché con la morte di Nicola Milano avvenuta nel 2003 questa antica famiglia di cartari si è estinta“.

La carta di Amalfi veniva prodotta a mano foglio per foglio. “Oggi si parla molto di riciclo” continua De Simonema, prima era la norma, non si sprecava nulla. Infatti, oltre agli stracci si utilizzava per la collatura del foglio il carniccio che è uno scarto della lavorazione del coniglio. Anche l’urina veniva, con i dovuti accorgimenti, recuperata e utilizzata per la pulitura e la sbiancatura degli stracci“.

Tutte le cartiere di Amalfi utilizzavano l’acqua come fonte energetica. “L’acqua era di tutti e nessuno” spiega il direttore “Ecco perché veniva utilizzata e restituita al fiume affinché altri la utilizzassero ancora“.

Ma non solo: il cartaro doveva avere anche nozioni di falegnameria e faceva anche il fabbro e il carpentiere: perché chi lavorava la carta doveva saper riparare, costruire gli attrezzi necessari al proprio lavoro.

Se oggi in questo museo abbiamo dei macchinari così antichi” fa notare il nostro cicerone “dobbiamo ringraziare proprio questa loro arte di continua quasi spasmodica attività di riparazione“.

In realtà ci sentiamo in dovere di ringraziare anche questo caparbio direttore del museo della carta. Lui ci dice: “Io umilmente gestisco e dirigo questo museo dal 2000 nella consapevolezza di voler preservare questo patrimonio culturale, nella speranza che giovani possano appassionarsi a questa tradizione trovando, chissà, una fonte di sostentamento. Il mio è un tentativo, un esempio di attaccamento al mio territorio, alla mia gente e alle mie tradizioni“.

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