Fare esperienza all’estero permette di formarsi all’interno di un ambiente multidisciplinare e stimola il confronto grazie all’incontro con diversi professionisti del settore. Ma prima di partire è indispensabile assicurarsi la giusta copertura economica. Ne abbiamo parlato con Marta Sevieri, dottoranda e ricercatrice presso il laboratorio di Nanomedicina dell’Università Statale di Milano.
Le storie dei Green Jobber raccontano l’importanza di una formazione internazionale. Per una professione green, infatti, il confronto con le modalità di preparazione e sviluppo all’estero sono fondamentali: solo così l’incontro tra competenze diventa possibile e favorisce una migliore transizione ecologica.
Questo vale in tutti i campi di studio. E i giovani ricercatori devono prepararsi al meglio per intraprendere un percorso all’estero, anche dal punto di vista economico, non sempre semplice e chiaro.
Ne abbiamo parlato con Marta Sevieri, dottoranda e ricercatrice presso il laboratorio di Nanomedicina dell’Università Statale di Milano.
“Qui – ha raccontato a greenplanner.it – mi occupo di nanotecnologie applicate alla diagnosi del cancro. Sto sviluppando una nanoparticella in grado di individuare in modo selettivo la presenza di metastasi che spero in un futuro possa aiutare tante donne affette da tumore al seno”.
Spesso chi è coinvolto nel campo della ricerca biomedica come Marta, ha un obiettivo chiaro: contribuire alla salute umana. E le sfide per farlo sono moltissime, prima tra tutte la relazione con il tempo.
Infatti, per passare da un’idea sviluppata sul bancone di laboratorio a un farmaco utile al paziente si attraversa un processo tutt’altro che lineare che dura decine di anni.
Però, come dice la stessa Marta “sono pochi i mestieri capaci di stimolare quanto quello del ricercare, scoprire e ogni volta apportare un contributo o addirittura una scoperta alla scienza“.
E per farlo, è indispensabile formarsi e informarsi, anche in un ambiente estero e multidisciplinare. Perchè la scienza, per dirsi completa, deve sollecitare e interrogare diversi punti di vista.
Ecco perchè durante il percorso universitario è importante mettere le basi per un periodo di lavoro-studio all’estero. “Recentemente – ha raccontato Marta – sono stata qualche mese all’università di Aquisgrana (Germania) per condurre alcuni esperimenti per il mio progetto di dottorato“.
Ma come assicurarsi una copertura economica per la propria permanenza all’estero?
“Spesso – ha spiegato Marta – nei corsi di dottorato come il mio, in cui fare esperienza all’estero è indispensabile, si possono chiedere dei fondi interni al corso stesso. Con la maggiorazione della borsa si ottiene il 50% in più dello stipendio per ogni mese speso all’estero.
Altra opzione sono i fondi già predisposti dal corso per ciascun dottorando: la dote dottorato, ovvero una somma che ogni anno un dottorando ha a disposizione per congressi e periodo di ricerca all’estero. Non parliamo di grandi somme, tant’è che nel mio caso ho dovuto ricorrere a entrambe.
La terza possibilità consiste nel provare a vincere delle borse Erasmus (Erasmus Traineesheep) messe a disposizione dall’università. Trattandosi di fondi europei, queste borse valgono solo per esperienze interne all’Europa.
Un’altra opportunità è rappresentata dai travel grant, delle borse per finanziare periodi di studio e ricerca all’estero messe a disposizione da riviste scientifiche o da associazioni (nel mio campo, per esempio, Airc).
Questa quarta opzione, soprattutto se in aggiunta a una delle precedenti, permette di prolungare il soggiorno all’estero e, quindi, avere maggiori possibilità di sperimentazione“.
Insomma, il succo è cercare quante più opzioni possibili per poter finanziare il proprio periodo fuori sede.
“In Germania ho avuto a disposizione strumenti molto innovativi che in Italia non abbiamo. Sicuramente rispetto alle università italiane, quelle tedesche hanno risorse economiche superiori e le opportunità lavorative sono migliori“.
È cosa nota che i ricercatori italiani hanno a che fare con stipendi bassi e contratti precari, una condizione che genera insicurezza e frustrazione.
“Ma resto ottimista – ha aggiunto Marta Sevieri – e credo che qualcosa di positivo si possa fare anche in Italia. Del resto, se i ricercatori italiani sono così apprezzati all’estero è perché hanno una marcia in più e la capacità di arrangiarsi, che è quasi un’arte.
In definitiva: mai dire mai a un futuro all’estero, ma prossimamente credo rimarrò in Italia per concludere il progetto che ho iniziato. Ho intenzione però, allo stesso tempo, di investire molte energie nel costruire relazioni e collaborazioni internazionali che sono fondamentali per arricchire la ricerca“.
Marta Sevieri ha iniziato il suo percorso con una laurea triennale in Biotecnologie presso l’Università Bicocca di Milano. Per questo, durante l’ultima edizione del BiotechCamp abbiamo chiesto a Marta di segnalare alcuni consigli per gli studenti di biotecnologie interessati a proseguire nel campo, che decidano di lavorare in azienda o di restare in ambito accademico, dedicandosi alla ricerca.
“Durante la laurea magistrale ho avuto l’opportunità di fare un tirocinio presso l’istituto di ricerca Mario Negri di Milano: è stata quest’ultima esperienza di un anno in laboratorio che mi ha permesso di capire cosa volessi fare dopo gli studi.
Alla fine del percorso mi era chiaro che il laboratorio era il mio habitat naturale e il mio sogno quello di fare la ricercatrice. Da lì ho iniziato a lavorare nel mio attuale laboratorio, da cui è partito il percorso di dottorato in Medicina Traslazionale“.
“Agli studenti – ha concluso Marta – dico che l’importante è mettersi in gioco e capire per cosa si è più predisposti. Se ci sono workshop, giornate di orientamento o eventi dedicati, consiglierei sempre di prendervi parte per capire un po’ meglio questo mondo e ascoltare testimonianze di chi lo vive.
Ma soprattutto, se si ha la possibilità, sostengo sia fondamentale imparare la lingua inglese trascorrendo un periodo all’estero. Questo ormai è fondamentale per il mondo lavorativo ma ancora più importante per la crescita personale“.