La sempre maggior trasparenza richiesta dai consumatori e dalle categorie di settore sfocia, finalmente, nell’obbligo di indicare sull’etichetta alimentare anche la sede e l’indirizzo dello stabilimento di produzione o di confezionamento dell’alimento.
È infatti entrato in vigore il Decreto Legislativo 15 settembre 2017 n. 145, dopo 180 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale n. 235 del 7 ottobre 2017.
Per la Coldiretti si tratta di una norma che consentirà di verificare se un alimento è stato prodotto o confezionato in Italia; la richiesta, fortemente voluta e sostenuta dai consumatori fa conoscere, oltre all’origine degli ingredienti, anche il luogo in cui è avvenuto il processo di trasformazione.
Con l’obbligo di questa indicazione sull’etichetta alimentare arrivano anche le sanzioni, in caso di inadempimento, che vanno da 2.000 euro a 15.000 euro, per la mancata indicazione della sede dello stabilimento o se non è stato evidenziato quello effettivo nel caso l’impresa disponga di più stabilimenti.
Se l’operatore del settore alimentare dispone di più stabilimenti, è consentito indicare tutti gli stabilimenti purché quello effettivo sia evidenziato mediante punzonatura o altro segno identificativo, mentre nel caso di prodotti non destinati al consumatore finale ma alla ristorazione collettiva – ristoranti, mense – o all’azienda che effettua un’altra fase di lavorazione, ci si può limitare a indicare la sede dello stabilimento solo sui documenti commerciali di accompagnamento.
L’obbligo dell’indicazione sull’etichetta alimentare era già sancito dalla legge italiana (D.Lgs 109/1992, oggi sostituito dal D.Lgs 231/2017) ma era stato abrogato in seguito al riordino della normativa europea in materia di etichettatura alimentare.
L’Italia ha stabilito la sua reintroduzione per garantire una migliore e immediata rintracciabilità degli alimenti da parte degli organi di controllo e, di conseguenza, una più efficace tutela della salute.
Etichetta alimentare, adesso si indichi anche l’origine
Per la Coldiretti questo è un buon passo in avanti ma ci si deve ancora muovere per arrivare all’indicazione sull’etichetta alimentare anche dell’origine degli ingredienti, che è di gran lunga considerato l’elemento determinate per le scelte di acquisto dal 96% dei consumatori.
Una battaglia per la trasparenza condotta dalla Coldiretti che ha portato molti risultati anche se oltre 1/4 della spesa degli italiani è ancora anonima con l’etichetta alimentare che non indica la provenienza degli alimenti, dai salumi ai succhi di frutta fino alla carne di coniglio.
Due prosciutti su tre venduti oggi in Italia provengono da maiali allevati all’estero senza che questo venga evidenziato chiaramente in etichetta dove non è ancora obbligatorio indicare l’origine, come avviene anche per il fiume di 200 milioni di chili di succo di arancia straniero che valica le frontiere e finisce nelle bevande all’insaputa dei consumatori perché l’etichetta alimentare non lo dice.
Il made in Italy a rischio per finalità commerciali
Sulla base dei dati dell’Osservatorio Immagino per fare leva sul patriottismo nei consumi il tricolore sventola sul 14% delle confezioni alimentari ma in ben il 25% dei prodotti sugli scaffali c’è comunque un evidente richiamo all’italianità che spesso viene sfruttata a sproposito, come dimostrano i recenti interventi dell’Antitrust e della Magistratura.
Per questo la Coldiretti ha avviato la mobilitazione #stopcibofalso nei confronti dell’Unione Europea per fermare il cibo falso e proteggere la salute, tutelare l’economia e bloccare le speculazioni.
La raccolta di firme rivolta al Presidente del Parlamento Europeo viene avviata da Coldiretti e Fondazione Campagna Amica in ogni farmers’ market d’Italia e online ma sono previste anche iniziative lungo tutta la Penisola.
L’obiettivo è dare la possibilità a livello europeo di estendere l’obbligo di indicare l’origine in etichetta a tutti gli alimenti dopo che l’Italia, affiancata anche da Francia, Spagna Portogallo, Grecia, Finlandia, Lituania e Romania, ha già adottato decreti nazionali per disciplinarlo in alcuni prodotti come latte e derivati, grano nella pasta e riso.