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Plastica biodegradabile? Non se si utilizzano additivi chimici

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L’additivo non rende la plastica biodegradabile. L’associazione Assobioplastiche ci tiene a sottolinearlo ancora una volta confermando che è “scorretto utilizzare il termine plastica biodegradabile rispetto a prodotti a base di polimeri tradizionali o con l’aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione (c.d. oxo-degradabili)“.

La precisazione avviene a seguito della pubblicazione dello studio Environmental Deterioration of Biodegradable, Oxo-biodegradable, Compostable, and Conventional Plastic Carrier Bags in the Sea, Soil, and Open-Air Over a 3‑Year Period effettuato da Imogen E. Napper e Richard C. Thompson dell’Università di Plymouth.

Qui si dice” continua una nota di Assobioplasticheche solo il sacchetto biodegradabile e compostabile – progettato per essere gestito nel circuito della raccolta dell’umido in appositi impianti industriali – anche se erroneamente disperso nell’ambiente per effetto di cattive abitudini (littering), va incontro a totale decomposizione in ambiente marino in soli tre mesi e presenta un impatto ambientale ridotto“.

Quindi, gli unici prodotti a potersi fregiare correttamente di tale definizione sono quelli in bioplastica compostabile, come peraltro già chiarito nel 2015 in Italia dall’AGCM (Direzione Tutela del Consumatore) nel caso dei sacchetti oxo-degradabili, all’epoca utilizzati da alcune insegne della GDO.

Lo studio dell’Università di Plymouth ha esaminato un sacchetto in polietilene ad alta densità, due sacchetti oxo-degradabili, un sacchetto con sopra apposta la parola biodegradabile e, infine, un sacchetto biodegradabile e compostabile.

Tale studio non ci dice nulla di nuovo, ma conferma” come Assobioplastiche asserisce sin dalla sua nascita nel 2011 “che è scorretto utilizzare il termine biodegradabile rispetto a prodotti a base di polimeri tradizionali o con l’aggiunta di additivi che ne accelerano la frammentazione (c.d. oxo-degradabili)“.

I risultati pubblicati da Imogen E. Napper e Richard C. Thompson non sono quindi sorprendenti per gli esperti di chimica dei polimeri e di biodegradazione, ma anzi confermano che la decisione della UE (direttiva SUP) di proibire tutti i materiali tradizionali additivati con acceleranti la frammentazione è corretta.

Assobioplastiche” riprende la nota dell’associazione “ritiene inaccettabile che uno studio che conferma un’ulteriore distinzione netta tra materiali in termini di proprietà di biodegradazione e corretta utilizzabilità di tale caratteristica venga strumentalizzato per comunicare un messaggio scorretto“.

La biodegradabilità insomma, come lo studio lascia presumere, non deve essere mai vista come una più comoda soluzione o una scusa per la disseminazione incontrollata nell’ambiente (che porterebbe al paradosso di legittimare per esempio il littering degli scarti e residui organici in mare, in quanto biodegradabili).

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