Pesca insostenibile? L’allerta sul settore ittico mondiale è forte: il 33% degli stock ittici mondiali monitorati è sfruttato in eccesso e più del 60% è sfruttato al massimo delle loro capacità.
3 miliardi di persone nel mondo consumano pesce, tanto che il drammatico impatto della pesca insostenibile mette a rischio non solo gli stock ittici, ma anche il sostentamento delle popolazioni.
Una situazione peggiorata anche dagli effetti del cambiamento climatico globale sui mari del mondo che aggiunge problemi quali acidificazione, riscaldamento delle acque, aumento del livello del mare, effetti che si stanno manifestando soprattutto nell’emisfero sud del pianeta.
Anche il Wwf scende in campo e lancia il progetto paneuropeo Fish Forward che ha messo a punto anche una guida online affinché i consumatori, noi tutti, facciano attenzione a quello che acquistano: “non è più possibile che una persona al supermercato o in pescheria, guardi il banco e trovi merluzzo a 3 euro al chilo senza farsi domande“.
Pesca insostenibile: gli studi a supporto
Intanto, il Cnr ha voluto vederci più da vicino e ha messo a punto una tecnica di computer vision e intelligenza artificiale per tracciare in maniera affidabile le variazioni temporali di abbondanza di pesci in diverse condizioni operative.
Il team internazionale di ricercatori coordinato dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Imar) di La Spezia, in collaborazione con l’Università Politecnica delle Marche, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), l’Università Politecnica della Catalogna e il Consiglio superiore di ricerca scientifica spagnolo (Csic).
Simone Marini di Cnr-Ismar, coordinatore del team internazionale spiega il contesto geografico: “Abbiamo validato la metodologia su 22.000 immagini, contenenti circa 176.000 pesci, acquisite ogni 30 minuti, giorno e notte, per un periodo di due anni dall’osservatorio marino Obsea posizionato al largo di Barcellona e gestito dall’Università Politecnica di Catalogna e dal Csic spagnolo“.
La tecnica, già disponibile, permetterà di utilizzare al meglio le osservazioni provenienti dalle principali infrastrutture di osservazione degli oceani, ampliando la capacità di osservazione e di monitoraggio dello stato di salute dei mari.
“Se consideriamo l’enorme crescita del numero di telecamere subacquee installate negli osservatori costieri e profondi, distribuiti in tutti gli oceani del globo (emso.eu, oceannetworks.ca, oceanobservatories.org), possiamo immaginare il potenziale applicativo di questo avanzamento tecnologico” conclude Marini.
L’informazione è fondamentale a tutti i livelli. Obiettivo: scegliere di contrastare la pesca insostenibile in questo caso, fa la vera differenza, specialmente nei confronti di milioni di persone il cui sostentamento dipende dal pesce.
Anche il Mediterraneo è ormai in uno stato di grave crisi: decenni di cattiva gestione e sfruttamento hanno pesantemente impoverito le sue risorse marine, fino al punto che oggi più dell’80% degli stock monitorati risulta sovrasfruttato.
Tutto ciò si traduce in un’enorme minaccia per quei pescatori artigianali – commenta il Wwf Italia – che pescano seguendo le regole e per le comunità costiere locali in generale.
La flotta di pesca artigianale rappresenta infatti l’84% del totale: si tratta di attività di origine familiare e attorno a questo settore vivono intere comunità e paesi.
Contrastare la cultura della pesca insostenibile
“La cultura della pesca è una parte fondamentale della tradizione dei paesi mediterranei. Anche la mamma e la signora che vanno a fare la spesa devono comprendere l’importanza del prodotto che hanno davanti“.
Fra poco spariranno: è questo lo slogan di denuncia di Greenpeace che a pochi giorni dall’apertura dei lavori della 42ma Sessione della Commissione Generale per la Pesca nel Mediterraneo (CGPM-FAO denuncia anche il fallimento delle misure di tutela delle aree di riproduzione (nurseries) delle specie ittiche più importanti dello Stretto di Sicilia: gambero rosa (o bianco) e nasello (spesso impropriamente chiamato merluzzo), da tempo in crisi.
Analizzando i dati del sistema di identificazione automatica (Automatic Identification System, AIS), il rapporto di Greenpeace mostra, infatti, che negli ultimi tre anni circa almeno 147 pescherecci a strascico sono stati impegnati in presunte attività di pesca in tre delicate aree del tratto di mare che divide Sicilia e Tunisia Sono tutti pescherecci italiani, provenienti soprattutto dai porti di Mazara del Vallo, Sciacca, Porto Empedocle, Licata e Portopalo di Capo Passero.
A dispetto di un continuo calo delle risorse ittiche nello Stretto di Sicilia, l’Italia non ha ancora avviato misure efficaci per tutelare le nurseries delle specie ittiche più importanti non rispettando nemmeno le raccomandazioni del CGPM-FAO che era tenuta ad applicare.
Non sorprende che secondo alcuni esperti il settore sia ormai in avanzato stato di decomposizione e il fatto che, dopo anni di stallo, la stessa FAO consideri sovrasfruttate le popolazioni di nasello e gambero bianco dello Stretto di Sicilia.