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Forme di bricolage urbanistico

città del futuro
Foto di Patricio González da Pixabay

La città del futuro secondo Maurizio Carta sarà “aumentata”. Circolare, ma non solo: capace di rigenerarsi dagli scarti. A breve in libreria un nuovo testo: Città Aumentate (Il Margine, 2021)

C’è chi si spinge a dire che la città del futuro si baserà su una sorta di architettura vegana. Chi da smart city propende per una wise city.

Maurizio Carta è professore ordinario di Urbanistica all’Università degli Studi di Palermo, presso il Dipartimento di Architettura. Per lui la città del futura sarà quella “aumentata”. Niente a che fare con lo spreco, bensì… In questa intervista sta il senso delle sue teorie e ricerche.

C’è un nesso tra la sua idea di città aumentata e i modelli dell’economia circolare? Se sì: quale?

La città circolare e del riciclo è una delle 10 dimensioni della città aumentata, perché essa agisce, attraverso forme di bricolage urbanistico, per rimettere in circolo la dismissione, prendendo una funzione da un contesto e immettendola in un altro per riattivarne il metabolismo, o allocando funzioni plurime che fungano da innesco della rigenerazione del dismesso.

La città aumentata circolare non è solo basata sulla riduzione, il riuso e il riciclo delle risorse materiali e immateriali, ma è in grado di disegnare una nuova forma urbana per cogliere le opportunità del metabolismo circolare, inserendo il riciclo programmato tra le componenti del progetto di città.

Non più luoghi che presuppongano la loro obsolescenza, ma organismi urbani complessi che prevedano, fin dalla progettazione e realizzazione, la loro flessibilità d’uso, la molteplicità di funzioni e la temporalità dei cicli di vita.

Nelle città del futuro prossimo dovremo lavorare attraverso il riciclo dei tessuti urbani, degli edifici e delle reti infrastrutturali dismessi, modificandoli, rimuovendo i detrattori o reinventandone le funzioni, ma soprattutto ricreandoli, senza demolirli, ma cambiando le loro funzioni per accogliere le nuove domande di cura, sicurezza, abitazione, educazione, lavoro e tempo libero.

L’urbanistica per la società circolare non agisce solo sul potenziale tangibile (aree, volumetrie, infrastrutture, paesaggi), ma anche sul potenziale correlato alle memorie e alle identità contenute nelle aree da rimettere in circolazione.

È da queste aree che le città del XXI secolo dovranno produrre nuova intelligenza urbana, in primo luogo riscrivendo le linee di codice (funzioni) abbandonate, riattivando i banchi di memoria (aree) inutilizzati e revisionando le routine urbane (infrastrutture) inefficienti.

Questi sono tutti materiali urbani che contengono ancora tracce di vitalità, che in molte pratiche oggi forniscono risorse per la pianificazione ecologica e l’agricoltura urbana, infrastrutture per la mobilità sostenibile e la produzione autosufficiente, attività di crowdsourcing e luoghi di condivisione e innovazione sociale.

Le città plasmano i cittadini o sono gli abitanti che modellano le città con i loro bisogni?

Seimila anni fa, in Mesopotamia, la città è stata una straordinaria invenzione dell’umanità, immaginata come un dispositivo abilitante per l’evoluzione e l’innovazione della comunità, e non solo come un luogo sicuro o simbolico.

Un luogo che non fosse solo un artificio confliggente con la natura, ma un ambiente relazionale tra urbano e rurale, tra minerale e vegetale, tra luogo e mondo dove coltivare e nutrire il progresso sociale, dove alimentare l’intelligenza umana e stimolare la creatività.

La città, quindi, è per me una mirabile alleanza tra spazio e società, tra luoghi e abitanti che plasmano vicendevolmente il diverso presente urbano.

Una città come luogo di valorizzazione della intelligenza collettiva dei suoi molteplici abitanti, quindi, invoca un salto di paradigma in grado di produrre sia una nuova visione della sua missione, sia una dotazione di adeguati strumenti procedurali e operativi, sia un nuovo ingaggio della cittadinanza, capaci di ribaltare una postura ormai sterile e poco innovativa, quando non iniqua e consumatrice di risorse ambientali e umane.

E quindi come saranno le città del futuro?

Siamo da decenni in un’età di ripensamento delle città, di nascita di movimenti per città più creative ed ecologiche, ma anche di movimenti anti-urbani. In questo contesto, nel 2017, ho coniato il termine città aumentata (augmented city) come necessario salto di paradigma che, partendo dalla città esistente, ne incrementa le qualità e le capacità di rispondere alle esigenze dei suoi abitanti, proponendosi come un dispositivo spaziale (perché la città è innanzitutto uno spazio che noi plasmiamo per viverci) in grado di agire contemporaneamente nelle dimensioni culturale, sociale, economica ed ecologica per migliorare la nostra vita, individuale e collettiva, informale e istituzionale, amplificando lo spazio urbano generato dagli effetti dell’innovazione.

Viviamo e agiamo in una realtà permanentemente aumentata da dispositivi hard e soft – siamo noi stessi un’umanità aumentata – e le nostre città devono saper cogliere questo incremento cognitivo e diventare più sensibili e reattive ai nostri cambiamenti comportamentali.

La città aumentata è la città del futuro che si attiva a partire dal diverso presente per rispondere alle esigenze di una società più connessa e basata sulla conoscenza, per rispondere al cambiamento globale, soprattutto a quello climatico, e per perseguire un nuovo metabolismo circolare.

La città aumentata ridefinisce i dogmi dell’urbanistica che troppo spesso abbiamo pensato essere statici e basati esclusivamente su regole e norme, recuperando, invece, il suo naturale approccio prospettico, incrementale, reattivo e creativo.

Alla domanda: qual è la post-città? La mia risposta è: ancora la città, ma aumentata!

Fra qualche settimana uscirà una nuova edizione italiana del libro sulle città aumentate (Il Margine, 2021), in cui propongo dieci gesti-barriera per rendere città grandi e piccole a prova di crisi (di cui quella da Covid-19 è solo l’ennesima manifestazione) e per cambiare un modo di vivere urbano percepito come inaccettabile. Una guida concettuale e operativa per i cittadini, i progettisti, gli imprenditori e gli amministratori desiderosi di mettere in atto qui e ora un’innovazione urbana sempre più necessaria.

Abbattute e ricostruite o rimodulate?

Evolute! Dovremo, infatti, rimodulare le città, riattivando l’antica e potente sorellanza con la natura ma stimolando un processo evolutivo. Di fronte alla indispensabile metamorfosi che coinvolge le città che vogliano combattere contro il cambiamento climatico e il capitalismo predatorio e che siano in grado di rispondere alle nuove domande che emergono dalle comunità urbane sempre più responsabili e attive, plurali e inter-specie, abbiamo bisogno di nuove risposte in grado di agire attivamente nella transizione ecologica, senza subirla.

E la città aumentata è il necessario salto di paradigma per rispondere alle diverse e multiformi domande che derivano dalle quattro principali sfide delle città nel XXI secolo: la diffusione della società della conoscenza e la rimodulazione delle comunità delle reti e dei flussi, la risposta al cambiamento climatico e la circolarità del metabolismo urbano.

Centri vitali o mortali (visto l’inquinamento)?

Oggi troppe città (soprattutto italiane e con parossismo al Sud) somigliano sempre più a caotiche e inquinate agglomerazioni urbane, create da inarrestabili urbanizzazioni predatorie, dalla congestione delle funzioni centrali, dall’impoverimento delle periferie, generando un diffuso sentimento anti-urbano, recentemente arricchito dalla retorica dei borghi-rifugio contro il contagio e dalle rapide conversioni verso un ritorno bucolico alla campagna, senza risolvere i problemi strutturali che ne hanno determinato il declino.

Tuttavia, io non mi iscrivo alla retorica dei borghi come alternativa alla città, alla critica urlata nei confronti delle metropoli.

Preferisco, invece, la visione di un’Italia multiurbana – metropolitana, metromontana e metrorurale, intermedia, composta da città costiere e aree interne – capace di offrire la necessaria selezione delle risorse, l’indispensabile generazione di valore, l’efficace attivazione di opportunità di lavoro e di crescita della produttività insieme alla garanzia della salute e benessere degli abitanti e alla riduzione delle diseguaglianze.

Un’Italia composta da sistemi insediativi con identità, magnitudo, specializzazioni e relazioni territoriali differenziate, in grado di guidare con maggiore chiarezza la visione, il progetto e la norma delle nuove agende urbane (postpandemiche nell’immediato e a prova di crisi a regime), perché non siano la stanca riproposizione di pratiche tradizionali e il rituale uso di strumenti consolidati ma ormai spuntati.

Le città, tutte, possono tornare a essere il teatro che mette in scena il pensiero utopico di una società migliore, un dispositivo attivatore delle idee, per essere di nuovo i corpi vivi da cui soffia il respiro del cambiamento, soprattutto del cambiamento delle relazioni, delle visioni e delle responsabilità che servono per riattivare il futuro che vogliamo.

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