Susanna Pecchia, docente dell’Università di Pisa ha sviluppato un kit per determinare in poche ore la presenza del fungo tropicale Macrophomina Phaseolina, capace di infettare centinaia di colture e permettere così una risposta rapida.
Tra i problemi causati dalla crisi climatica non è di secondaria importanza, per chi si occupa di agricoltura, quello del fungo fitopatogeno Macrophomina Phaseolina.
Si tratta di un patogeno delle piante di origine tropicale: per svilupparsi ha bisogno del caldo, le temperature sino ai 40°C sono il suo ambiente naturale di crescita.
Il Macrophomina Phaseolina attacca le piante orticole, le fragole, i meloni, la soia e molte altre specie: dove è endemico colpisce diverse centinaia di piante.
Susanna Pecchia, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa, assieme al dottorando Daniele Da Lio, ha sviluppato e brevettato un sistema per determinare rapidamente la presenza di questo patogeno nel terreno, nelle piante o nei semi.
Questa ricerca è stata tra le cinque finaliste del premio Ipa 2021. L’importanza di questo studio l’ha spiegata la professoressa Pecchia.
Questo fungo, originario delle aree tropicali e sub-tropicali del pianeta, si stia diffondendo in tutto il mondo a causa del cambiamento climatico. L’aumento di temperature sta ampliando l’areale del Macrophomina Phaseolina e ora è presente in tutto il bacino del Mediterraneo, in Messico, in California e in numerosi altri Paesi.
Se la tendenza climatica rimarrà questa si diffonderà anche in Europa Centrale.
Il problema del Macrophomina Phaseolina per l’agricoltura
In agricoltura il grosso problema di questo patogeno è legato alla difficoltà di stabilirne la presenza in tempi brevi, tali da non compromettere il raccolto.
Quando colpisce le coltivazioni, le piante seccano, ma non ci sono elementi che contraddistinguono questo fungo da altri patogeni: l’unica possibilità è una analisi di laboratorio, per determinarne la presenza in modo diretto.
Una analisi siffatta ha però dei tempi incompatibili con quelli della agricoltura, perché quando le piante iniziano a seccare in pratica non c’è più niente da fare e la diffusione aumenta rapidamente.
Questo fungo può rimanere quiescente nel terreno sino a 15 anni, quando si presenta una pianta compatibile si risveglia e ricomincia il suo ciclo vitale che prevede la morte della pianta colpita.
Una diagnosi precoce è dunque fondamentale. La Pecchia ci ha spiegato che per velocizzarla ha deciso di lavorare su una forma di analisi indiretta, basata sul riconoscimento di una precisa sequenza genica del fungo.
I suoi studi l’hanno portata a utilizzare l’amplificazione genica, la Pcr (Polymerase chain reaction), per amplificare i campioni e ottenere così, in tempi rapidi, una risposta sulla presenza o meno del Macrophomina Phaseolina nel terreno, nella pianta o nei semi, dove si annida questo fungo.
Dopo diversi anni di studio è ora riuscita, con i suoi dottorandi, a realizzare un kit a stick, come i test di gravidanza, con il quale effettuare l’analisi in modo rapido.
Il campione viene preparato, unito ai reagenti liofilizzati, che contengono anche specifici marcatori genici, e nell’arco di un paio d’ore sullo stick apparirà la banda che indica la presenza o meno del fungo.
Questo kit, inoltre, sarà possibile utilizzarlo sia in laboratorio sia sul campo. I vantaggi di questo lavoro, brevettato dall’Università di Pisa, sono evidenti, sgrava i laboratori dalle dispendiose analisi dirette, soprattutto per quanto riguarda il tempo, permette di avere risultati in tempi brevi e consente così agli agricoltori di intervenire rapidamente.
Inoltre, potendo fare i test sul campo, anche con personale poco esperto, i tempi di risposta si possono ridurre ulteriormente.
Per debellare questo fitopatogeno, oltre a soluzioni chimiche, si possono usare anche metodi alternativi, legati alle caratteristiche dell’area, uno di questi è la solarizzazione del campo, cioè ricoprirlo con teli che aumentino la temperatura e inattivino il fungo.
La soluzione migliore, però, è quella di avere un terreno sano, meglio se si tratta di un campo dove si applicano le regole dell’agricoltura conservativa, con la rotazione delle colture.
Un terreno con queste caratteristiche è in grado di contrastare in modo naturale questo fungo, favorendone l’attacco da parte di altri microorganismi che in un terreno non sano sono assenti.
La biodiversità ha dei risvolti pratici da non sottovalutare. Questo lavoro può essere la base per creare strumenti in grado di aiutare i contadini nel contrastare la diffusione di fitopatogeni alloctoni facilitata dal cambiamento climatico; un componente con cui costruire una agricoltura sostenibile, capace di prevedere un problema e non solo di correre ai ripari.