Fairbrics è un progetto internazionale per la produzione di fibre sintetiche attraverso la cattura di CO2, con un processo meno impattante ambientalmente rispetto a quello tradizionale.
C’è sempre più tecnologia nel poliestere del futuro alla cui base sono necessarie due sostanze chimiche, il glicole etilenico e l’acido tereftalico. Ora la nuova frontiera è quella di produrre poliestere dal sequestro di CO2.
È quanto sostengono i ricercatori della società chimica francese Fairbrics che ha raccolto 22 milioni di euro per sviluppare la tecnologia necessaria, 17 dei quali provengono dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione europea e il resto dai partner del progetto di upscaling tecnologico.
All’iniziativa partecipa un nutrito gruppo di imprese e centri ricerca: l’università di Antwerp (Belgio), Tecnalia (Spagna), Lappeenrannan Lahden teknillinen yliopisto (Finlandia), Aimplas (Spagna), Deutsche Institute fur textil – und faserforschung denkendorf (Germania), City of Lappeenranta Villmanstrand (Finlandia), Digiotouch Ou (Estonia), Faurecia (Francia), Naldeo (Francia), SurePure (Belgio), Les Tissages de Charlieu (Francia).
L’Italia è presente con CiaoTech, società che si occupa di supporto all’innovazione. Non è cosa da poco: significa sganciare la produzione da polimeri dal petrolio grazie alla cattura e alla trasformazione di smog in risorsa. In altre parole plastica e fibre man made con una minor impronta ambientale.
Il progetto Fairbrics: ecco cos’è
Obiettivo concreto dell’iniziativa è arrivare entro il 2024 ad avviare una linea pilota in grado di produrre 100 kg/giorno di poliestere ed entro il 2026 un impianto dimostrativo da 1 tonnellata/giorno.
Fairbrics utilizza CO2, idrogeno ed elettricità per produrre glicole etilenico e con il progetto intende potenziare la produzione utilizzando un processo in 3 fasi basato esclusivamente sulla chimica catalitica.
Dopo avere trasformato la molecola della CO2 nella più reattiva CO mediante elettroriduzione, si crea un legame carbonio-carbonio attraverso un intermedio ossamidico.
Si passa quindi all’idrogenazione e alla produzione del polimero. Secondo dati raccolti dalla rivista Apparel Insider è necessario utilizzare 1,5 kg di CO2 per produrre 1 kg di glicole etilenico. Ciò equivale a circa 0,5 kg di CO2 consumati per kg di poliestere prodotto.
Per quanto riguarda i vantaggi ambientali i ricercatori ritengono che il poliestere a base di CO2 consenta una riduzione dell’impronta di carbonio del 70% rispetto al poliestere a base fossile.
Il prodotto è finalizzato al mondo della moda e hanno mostrato interesse al progetto grandi marchi come H&M, On-Running e Aigle.
Come nel caso delle fibre bio based prodotte da origine vegetale (ricino) il prodotto ottenuto non ha caratteristiche prestazionali diverse dalle fibre di origine fossile.
Il che rimanda a un problema sollevato da più parti: è possibile/opportuno sganciare la moda dall’uso di fibre man made?
Siamo di fronte a un dilemma non da poco: è immaginabile una moda (e più in generale un’industria tessile) che riduce/non utilizza fibre sintetiche puntando, per esempio, sulle cellulosiche o ha più senso puntare su una produzione meno impattante delle sintetiche come il progetto suggerisce?
Moda senza fibre man made: auspicabile ma non verosimile
È quanto suggeriscono i dati proposti dallo studio Syntetics Anonymous 2.0: Fashion’s persistent plastic problem realizzato da Changing Markets Foundation e pubblicato nel dicembre scorso.
La ricerca analizza obiettivi dichiarati e consumo di fibre sintetiche di 55 marchi fashion. Per quanto l’obiettivo di decarbonizzare le proprie le proprie produzioni l’uso di fibre man made è decisamente elevato.
Premesso che solo 33 aziende hanno rivelato il volume e la percentuale dei materiali utilizzati, il marchio con il maggior utilizzo di man made è risultato Boohoo (64% su fibre totali con la più alta percentuale di poliestere nei prodotti 54%).
In termini di volumi impiegati Nike ha dichiarato di utilizzare oltre 166mila tonnellate di fibre man made anno e Inditex oltre 131mila tonnellate.
Secondo il rapporto le strategie dei brand analizzate si focalizzano sull’uso di fibre da riciclo, principalmente poliestere e un po’ di nylon.
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