Lo sterco attrae da sempre l’attenzione delle comunità che lo usano per fertilizzare la terra, per riscaldarsi, per una edilizia biologica. Ma anche l’arte ne sta facendo un uso proprio. In scena all’Hangar Bicocca di Milano, con Remains (fino al 15 settembre), c’è anche lo sterco d’autore di Sheela Gowda che per la prima volta espone le sue creazioni in Italia con un’ampia selezione di opere dai forti colori e contrasti.
L’artista indiana (vive e lavora a Bangalore) riprende le tradizioni artigianali utilizzando scarti di lavorazione e materiali naturali, come i capelli di cui ne fa lunghissime funi, ma anche gli escrementi di vacca. In Mortar line (1996) lo sterco diventa mattone.
E una lunga fila di mattoni delinea una traiettoria. Traiettoria che tende a esprimere una presa di posizione politica, preservandone al tempo stesso le implicazioni, ma anche l’utilizzo. E la traiettoria di Mortar line coincide con quella del riuso e del riciclo, secondo, ovviamente, la nostra sensibilità.
Lo scarto industriale sta lì a dire come ce ne sia troppo. Ma anche che può avere una seconda, terza vita. È la teoria dell’economia circolare. Nuova per noi. Non per le comunità antiche: perché questa pratica è sempre stata in uso. Ammonire al non usa e getta è anche l’arte. O almeno quello che l’arte può suscitare in noi.
Usa anche i vecchi bidoni di petrolio Sheela Gowda, classe 1957. Blanket and the Sky è fatto di bidoni e catrame: contrapposizione di materia scura e un soffitto che tende alla visione delle stelle.
La mostra in scena in Hangar Bicocca è in divenire: Sheela Gowda sta infatti lavorando a una nuova creazione site-specific sulla base di una sperimentazione con diversi materiali e oggetti tra cui una gomma fornita da Pirelli. La mostra è quindi ancora in evoluzione: qui l’attuale conformazione.